Al contrario delle dichiarazioni propagandistiche del governo sul mondo del lavoro italiano, sia per la crescita occupazionale attribuita alla “grande conquista delle politiche di Palazzo Chigi” o sulle negative uscite contro il salario minimo, in un paese in cui i contratti tardano ad essere rinnovati e le retribuzioni reali continuano a diminuire.
Analizzando gli ultimi dati Eurostat disponibili, che fanno riferimento al 2023, appare evidente che l’Italia è diventata un inferno per i lavoratori.
Dal 2021 è vero che; l’occupazione è cresciuta, si sono ridotti i contratti a tempo determinato, è diminuito il part time involontario, ma il risultato italiano sull’occupazione rimane tra i peggiori in Europa, e in confronto agli altri paesi europei siamo agli ultimi posti in diverse classifiche: siamo ultimi per il tasso di occupazione e per l’occupazione femminile: 61,5 occupati ogni 100 persone tra i 15 e i 64 anni, e solo il 52,5 quando si tratta di donne, l’aumento non è stato tra i più brillanti tra il 2019 e il 2023, siamo stati superati anche dalla Grecia.
La percentuale di occupati a “tempo determinato volontario” è diminuita dal 2019 (-5,3%), ma si attesta ancora all’8,3%, solo tre nazioni fanno peggio di noi: Portogallo, Spagna e Cipro.
OCSE afferma che l’Italia detiene il record di donne costrette a un part time involontario, pur essendo disponibili a svolgere un lavoro a tempo pieno, nel 2023, si parla del 50,2% del totale delle occupate, una su due, anche qui siamo ultimi nella UE, con ben 15 paesi sotto il 20%.
Altri dati Eurostat riportano come la media europea del reddito reale nel 2023 sia salita da 110,12 a 110,82 (dove 100 è il valore del 2008), ma quella italiana è calata da 94,15 a 93,74, il quadro del mercato del lavoro italiano risulta piuttosto deludente.
In Italia la precarietà rimane dilagante, al contrario dello “stromabazzo” dominante, la “voglia di lavorare” non solo non manca, ma viene frustrata dall’imposizione involontaria del tempo parziale e a subirne le conseguenze maggiori sono innanzitutto i segmenti più ricattabili della popolazione.
La deindustrializzazione e l’imposizione di un modello di sviluppo fondato su filiere ad alta intensità di lavoro, ma a basso valore aggiunto (basti pensare a tutto ciò che gira intorno alla turistificazione) favoriscono il ricambio continuo di una forza lavoro non specializzata… che così rimane alla mercé del mercato.
Il modello fondato su bassa crescita ed esportazioni non funziona più, va male l’Italia, vanno male anche Francia e Germania, si sono fatti pochi investimenti in alto valore aggiunto e questo ci ha resi da qualche decennio esportatori di cervelli, rischiamo di trasformarci in un Paese che si basa sul turismo e con una presenza massiccia di vecchi pensionati.
L’occupazione va bene, peccato che salari e produttività sono bassi, paghiamo il prezzo della mancata spinta della domanda interna, ci vorrebbero politiche fiscali e monetarie più espansive, altro che “grandi conquiste” del governo , l’Italia affossa, la responsabilità va in capo alla classe dirigente e alle le forze politiche che si sono alternate al governo negli ultimi trent’anni.
Alfredo Magnifico