La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come è noto, ha condannato l’Italia per i fatti avvenuti all’interno della scuola “Diaz” durante il G8 di Genova; questa decisione ha riaperto il problema dell’assenza, nel nostro Paese, del reato di tortura. A livello internazionale sono molte le fonti che disciplinano il reato di tortura: la Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei prigionieri di guerra (1949), la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (1950), la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948), la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000), la Convenzione Onu contro la tortura ed altri trattamenti e pene crudeli, inumane e degradanti (1984), nonché lo Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale del 1998.
L’Italia invece, nonostante plurimi tentativi succedutisi nel tempo, non è mai riuscita a partorire una normativa capace di disciplinare questa figura di reato. Da circa due anni un disegno di legge contro la tortura giaceva in Parlamento ma è stato solo dinanzi all’ennesima condanna della Corte Europea che la Camera dei Deputati ha deciso, finalmente, di velocizzare i lavori e di approvarlo.
A prescindere dalla tempistica suddetta, che ha lasciato una certa amarezza nei cittadini, è opportuno indicare quali siano le caratteristiche del reato.
Nonostante la spinta sanzionatoria trovi origine negli episodi accaduti a Genova per le violenze imputate al reparto mobile della polizia, il testo in esame prevede che la tortura sia introdotta quale reato comune (delitto che chiunque può commettere), punibile con la reclusione da 4 a 10 anni. Il precetto al vaglio dei parlamentari sanziona “chiunque con violenza o minaccia, o in violazione degli obblighi di protezione, cura o assistenza, volutamente procura ad una persona a lui affidata, o sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche, a causa dell’appartenenza etnica della vittima, del suo orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose per ottenere informazioni o dichiarazioni o per infliggere una punizione o per vincere una resistenza”.
Ciò che è uscito dalla porta è rientrato però dalla finestra (reato “proprio”) con la previsione di una sanzione più elevata a carico del soggetto attivo cd. “qualificato”. Il precetto infatti, salvo modifiche, prevede una circostanza aggravante quando a commettere il reato sia un Pubblico Ufficiale e infligge, in questi casi, una pena edittale che va dai cinque ai dodici anni, aumentata di un terzo nel caso in cui la tortura provochi delle lesioni personali alla vittima e di due terzi in caso di decesso. E’ previsto inoltre l’ergastolo quando la morte della vittima sia provocata in modo volontario.
L’auspicio di una rapida approvazione del Disegno di Legge deriva dall’inaccettabilità, in un Paese civile, dell’assenza della previsione sanzionatoria di una condotta così incivile e barbara quale è la tortura. La soddisfazione resta ad ogni modo contenuta, atteso che la tardività di cui parla la Corte Europea ha come conseguenza l’impunità di tutti coloro che hanno commesso il reato prima dell’entrata in vigore della norma, ormai prossima.
Avvocato Silvio Tolesino
L’introduzione del reato di tortura: disciplina e caratteristiche
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