Spesso le donne che incontro al Centro Antiviolenza Liberaluna sembra che rimandino il loro bisogno di cercare un distacco dalle sensazioni troppo intense e troppo dolorose. Sembra che chiedano solo di giungere ad uno stato di quiete e di equilibrio, combattendo il dolore, “resistendo”. Molte volte il loro bisogno è sintetizzato in un’espressione: “Voglio solo serenità”, quasi ad aver vissuto una battaglia che può essere durata un mese come anche trent’anni.
La richiesta è anche quella di “riprendere il controllo” della propria vita. Implicitamente, però, la loro domanda è “Aiutami a cambiare senza cambiarmi”, evitando quindi di ripercorrere il dolore che hanno vissuto. Questo è tuttavia un paradosso che si può realizzare solo a patto di rinunciare a sentire, quindi a vivere. Spesso un dolore molto forte in un primo momento paralizza.
Come psicologa cerco di far capire a queste donne che dopo la prima fase, che “l’organismo mette in atto come estrema forma di protezione nei confronti di un evento potenzialmente sconvolgente, occorre inserire il dolore nel proprio percorso di vita” (P. Meringolo, G. Nardone, M. Chiodini 2016).
Qualche tempo fa mi è capitato di vedere nel corso della trasmissione televisiva “Tu sì che vales” una concorrente che cantava la canzone “Donna” di Mia Martini, commuovendosi durante la sua performance. Lei stessa ha poi spiegato il motivo, condividendo parte della sua storia di violenza e concludendo il suo intervento con queste parole: “Le fragilità talvolta servono anche per dimostrare il coraggio”. Il che ci porta a concludere che vivere situazioni difficili vuol dire iniziare a riconoscere le proprie parti più fragili, i propri limiti, cercando di ricostruire proprio da questi ultimi.
Molte volte confondiamo “la resistenza”, ossia la capacità di sopportare un evento critico contrapponendo una forza uguale e contraria, con la “resilienza”, che invece indica la capacità di modificare il nostro funzionamento, assorbendo la forza contraria e utilizzandola per disegnare nuove traiettorie. La resistenza implica la capacità di contrastare una forza, tentando però di mettere in atto sempre gli stessi copioni, al punto che si automatizzano, e arrivando a mantenere anche gli equilibri insani. Un modo per “reggere agli urti della vita”.
Il potere della resilienza è invece anche quello di riappropriarsi della facoltà di scegliere, di ricostruire la propria esistenza dopo un momento di crisi, senza mai dimenticare che resilienti non si nasce ma si diventa, con un esercizio continuo.
Le donne che si rivolgono al Centro Antiviolenza Liberaluna condividono il proprio dolore anche rispetto al fallimento, all’aver creduto in qualcosa di “sbagliato”. Io cerco di mostrare loro che, probabilmente, uno dei fattori che le ha spinte a resistere ad una situazione che le faceva stare male può essere proprio la paura del fallimento e che solo nel momento in cui riusciranno ad accettarlo, insieme al dolore della perdita, avranno la possibilità di trasformare entrambi questi vissuti, aprendo le porte alla loro capacità di resilienza.
Le donne che incontriamo il più delle volte iniziano ad avere la percezione di una maggiore “forza” nel momento in cui cominciano a scegliere la direzione che vogliono dare al proprio cambiamento, che è il momento in cui hanno iniziato ad ascoltarsi e a capire la distanza tra ciò che vivevano e quello che avrebbero voluto vivere.
Diventa quindi importante per tali donne tracciare un futuro di cui facciano parte le difficoltà vissute senza ipotecarle, e ciò perché questo potrebbe renderle più forti e farle sentire migliori.
Le persone costruiscono ininterrottamente la propria storia e raccontandosi e rinarrandosi attribuiscono sensi e significati alle esperienze di vita vissute.
Le donne vittime di violenza spesso sembrano rimandare, da una parte, la loro esigenza di raccontare e di elaborare la propria emotività e, dall’altra, la loro voglia di andare avanti nella propria vita, di costruirsi delle certezze, di lavorare in vista di una propria tranquillità. Come se credessero che all’inizio non sia proponibile tenere contemporaneamente due prospettive: una che guarda al futuro ed una che guarda al passato.
E allora si comincia proponendo alle donne proprio un lavoro su un duplice fronte: dare loro, da una parte, l’opportunità di riflettere sulla propria vita, sul proprio passato, sulla propria famiglia e sui propri vissuti di coppia e, dall’altra, aiutarle, nel loro processo di empowerment e di resilienza, a far uscire le proprie aspirazioni, i propri desideri e le proprie esigenze.
L’obiettivo è, quindi, di permettere alle nostre utenti di scoprire o riscoprire le proprie risorse e di utilizzarle in modo adattivo per vivere al meglio la propria esistenza, ricordando loro che tra le nostre più grandi risorse abbiamo il coraggio e la forza di immaginare delle alternative.
Per dare un segno tangibile di questi elementi le invitiamo a riflettere proprio sulla loro presenza al Centro Antiviolenza. Sono riuscite da sole ad arrivarci, sono state loro che hanno chiesto aiuto. Sono donne che hanno deciso di vivere un significativo cambiamento della propria vita.
Le donne si trasformeranno da persone “vittime” in persone che hanno avuto il coraggio di chiedere aiuto, di riscrivere la propria storia e di abbandonare la propria condizione, iniziando a prendersi la responsabilità delle proprie scelte future. L’obiettivo è di portarle a rimettere insieme i pezzi dei propri vissuti, a dare un senso anche ai propri sintomi, riconciliandosi, quindi, con la propria storia, con il proprio passato.
Il focus è sulla donna, sulle sue risorse, possibilità e capacità; è un intervento “cucito” su misura, che mira a restituirle la propria vita e il proprio destino. La cura non arriva dall’esterno e la donna stessa è la principale responsabile del suo processo di cambiamento, e anche il rischio e la mancanza di certezze e controllo possono diventare un’importante opportunità di crescita e di cambiamento per lei. Potremmo intendere la resilienza come un processo di creazione di competenze, di nuovi obiettivi e di fiducia in se stessi, necessari per affrontare una prova, riprendersi e uscirne rafforzati.
Vorrei concludere il mio contributo con Cyrulnik, psichiatra e psicoanalista, che per descrivere il processo di resilienza lo paragona a: “Il granello di sabbia che penetra nell’ostrica e la disturba inducendola a produrre una secrezione che dà vita ad un oggetto meraviglioso: la perla”.
Nel nostro Centro Antiviolenza ne è nata una di nome Amelia, nostra prima utente e socia onoraria, che, dopo aver subito per anni violenza da parte del marito, ha messo a disposizione di altre donne la propria storia di forza e di coraggio.
Dott.ssa Emanuela Teresa Galasso
Psicologa clinica