La Commissione Finanze della Camera con un emendamento al dl Fiscale, proroga la Legge n. 120 del 2011 cosiddetta “Legge Golfo–Mosca”, che prende il nome dalle due parlamentari prime sottoscrittrici e prevede che il genere meno rappresentato debba ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti nei Consigli di Amministrazione. L’emendamento proroga l’obbligo di applicare il criterio di riparto, previsto in materia di parità di genere nei Consigli di Amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate e a controllo pubblico, da tre a sei i mandati consecutivi.
La notizia – afferma in una sua nota la Consigliera di Parità della Provincia di Campobasso Giuditta Lembo – se da un lato ci allieta poiché mira consolidare la presenza delle competenze femminili nei CdA, dall’altro ci deve far riflettere che se è stata necessaria una proroga della Legge, vuol dire che in Italia occorre ancora una norma che obblighi al rispetto della parità di genere. Infatti dal 2011, grazie a questa legge, la presenza di competenze femminili nei CdA è passata dal 6% al 33%, ma fintanto nel nostro Paese dobbiamo ricorrere a norme che impongono il rispetto dell’art.3 della Carta Costituzionale relativo all’uguaglianza sostanziale tra uomo e donna vuol dire che persiste ancora una resistenza soprattutto culturale nei confronti della parità e verso una maggiore rappresentanza femminile nei ruoli decisionali e di maggiore responsabilità.
Sono tante le norme esistenti in sostegno della parità di genere – continua la Consigliera Lembo – ma a livello qualitativo permane un disequilibrio nella retribuzione e nella tipologia di incarichi per le donne nei board. Cosa che si rileva anche a livello quantitativo poiché la presenza femminile deve essere consolidata perché, come dimostrano diverse ricerche, è ancora sotto la soglia critica del 30% e si verifica spesso che le minoranze tendono ad adeguarsi allo stile predominante, rendendo ardua la possibilità di incidere sulle scelte strategiche delle organizzazioni. Ma quanto ancora dobbiamo attendere per dare vita ad un effettivo cambiamento in tale direzione? Per prima cosa, forse, noi donne – afferma Giuditta Lembo – non dovremmo più accettare la concessione di “quote rosa”, perché non vogliamo essere incluse su base percentuale. Inoltre, dobbiamo essere più incisive, coese e costanti nel rivendicare i nostri diritti e non limitarci ad unire le nostre forze solo in occasione di manifestazioni come quella del 25 novembre e dell’8 marzo.
Ad esempio, lottare unite per il diritto al lavoro, infatti, uno dei problemi centrali di cui da sempre si discute è il problema della disoccupazione femminile, la maggiore presenza delle donne nel mercato del lavoro, è stato più volte dimostrato, apporterebbe un innalzamento del PIL del 7%, ma purtroppo oggi è in aumento addirittura la percentuale di donne che non cercano più il lavoro per impedimenti familiari o perché addirittura scoraggiate. Una situazione che si verifica in particolare al Sud, dove il tasso di occupazione femminile non riesce a stabilizzarsi oltre il 30%.
Infatti, continuano a rimanere irrisolte alcune cause ostative quali l’assenza di servizi, che ancora oggi rende difficile, quando non impossibile, conciliare cura dei figli e professione e la mancanza di incentivi ad hoc per l’auto impiego e l’autoimprenditorialità femminile, nonostante la Commissione europea abbia invitato le Regioni attraverso i POR ad utilizzare anche i fondi comunitari per tali iniziative. La parità di genere – conclude la Consigliera Lembo – deve essere una battaglia condivisa, una battaglia di tutti, delle donne e degli uomini che si battono insieme per un domani più equo, e costruiscono insieme un mutamento solido, duraturo e intrinseco durante il quale le previsioni normative avranno solo il compito di favorire e accompagnare la formazione di una nuova cultura, per una maggiore, ma soprattutto migliore, inclusività.