Oggi possiamo festeggiare i primi 40 anni della legge 121 del 1981 che portò diverse e fondamentali modifiche ed innovazioni al rapporto di lavoro tra gli appartenenti della Polizia di Stato e la propria Amministrazione. Parliamo di un lavoro “speciale” che non tutti possono svolgere. Solo chi ha a cuore la tutela del prossimo può svolgere quella missione in cui credere fino in fondo, senza se e senza ma.
Un lavoro che a volte si svolge senza orari con tante difficoltà.Con tale legge si ottenne finalmente dopo anni di lotte la smilitarizzazione ed in contemporanea fu acconsentito il sindacalismo, ovvero, la possibilità di accedere alle organizzazioni sindacali in modo da poter far valere i propri diritti sui tavoli di contrattazione.
Consapevolmente, dobbiamo riconoscere notevoli e grandi meriti ai nostri padri fondatori del sindacalismo in Polizia per quello che hanno ottenuto dopo anni di lotte e rivendicazioni sotto un regime militare non proprio favorevole e che a volte subivano per anche diverse ripercussioni personali.
Tutto ciò per poter lasciare a noi discendenti quegli strumenti democratici per poter garantire un rapporto di lavoro paritario ed all’avanguardia ma soprattutto trasparente tale da contribuire una serenità ai lavoratori-poliziotti ed alle loro famiglie. Molti i giovani che oggi decidono di arruolarsi e di dedicarsi con passione a questa attività proprio perchè anche se altamente rischioso è ritenuto un lavoro dignitoso ed appagante che rispetta appieno il bilanciamento dei diritti con i doveri per un rapporto lavorativo moderno e garantista.
Gli obiettivi primari che la legge di riforma si prefiggeva erano: l’unità delle diverse strutture che componevano il “mosaico-polizia”, il miglioramento dell’efficienza e una maggiore democraticità. Fino agli anni ’80 con la denominazione Polizia venivano indicate tre distinte organizzazioni:-i funzionari di pubblica sicurezza che avevano la responsabilità della gestione degli uffici del Dipartimento, e di direzione degli uffici nelle questure e nei commissariati.
Avevano inoltre la responsabilità della conduzione degli uffici e dei servizi di polizia giudiziaria e ordine pubblico;
– gli ufficiali, i sottufficiali ed i militari di truppa del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, che gestivano, secondo i rispettivi livelli di responsabilità, i servizi di polizia giudiziaria e ordine pubblico, nonché le specialità della polizia stradale, polizia ferroviaria, polizia di frontiera e polizia postale;
– le ispettrici e le assistenti del Corpo di polizia femminile, che si occupavano di prevenzione e repressione dei reati in materia di buon costume, di violenze sulle donne e sui minori. Con la riforma imposta dalla legge n. 121 del 1° aprile 1981, queste tre diverse componenti furono fuse nella Polizia di Stato, “corpo civile militarmente organizzato” per la tutela dello Stato e dei cittadini da reati e turbative dell’ordine pubblico.
La nuova Polizia diveniva un corpo civile a tutti gli effetti aperto a uomini e donne. I gradi cambiarono nome, i ruoli furono ristrutturati con la creazione del ruolo ispettori, inserito fra quello dei sovrintendenti (in precedenza sottufficiali) e quello dei direttivi (in precedenza ufficiali); di fatto gli ispettori divennero l’anello di congiunzione tra il dirigente e i collaboratori più operativi.
La riforma previde una maggiore specializzazione degli operatori di polizia attraverso selezioni più rigorose e corsi di formazione più specialistici per le mansioni che si sarebbero dovute poi svolgere: non più una qualificazione professionale unica, ma differenziata per le diverse attività operative.
Questo ha significato anche riconoscere al poliziotto dignità professionale pari a quella degli altri lavoratori sia pubblici che privati. La riforma prevedeva inoltre l’organizzazione del personale in 3 differenti ruoli organizzativi: ruolo di polizia, ruolo tecnico-scientifico e ruolo sanitario. Il divieto di far parte e di iscriversi a organizzazioni politiche o sindacali fu in parte mitigato dalla possibilità di costituire sindacati interni.
Ad oggi possiamo dire che le Organizzazioni sindacali che operano nell’interesse sia degli operatori di Polizia che della stessa Amministrazione, svolgono un’azione fondamentale al fine di contemperare le esigenze di servizio con quelle familiari, considerando il poliziotto o la poliziotta non un semplice numero ma un lavoratore e membro di una famiglia che merita rispetto.
Tanto è stato fatto in questi anni ma molto altro si dovrà fare per rendere l’attività del poliziotto e della poliziotta sempre più adeguata ai tempi contemporanei. Abbiamo un Accordo Nazionale Quadro risalente al 2009, oramai obsoleto e non più adeguato alle esigenze operative e familiari degli appartenenti.Un regolamento di servizio anch’esso da revisionare per non parlare di quello disciplinare che necessita una urgente azione di revisione e di adeguamento.
I problemi di oggi, che possono ricondursi soprattutto nella mancanza di personale (mancano all’appello circa 15.000 unità), non possono ripercuotersi sempre sul personale in servizio ed effettivo che sta assumendo sempre più una drammatica età media che supera i 50 anni in tutte le province italiane. Oggi si pretendono, sempre più spesso, dagli stessi operatori, non più giovanissimi, le stesse prestazioni fisiche e mentali che avevano trenta anni addietro come se gli stessi fossero degli eterni immortali. Nel frattempo che tornino i tempi migliori con un auspicabile aumento di personale che con le nuove regole non può essere over 26 e privo del titolo di studio del diploma, i nostri magnifici eroi si fanno in quattro per garantire l’ordine e la sicurezza pubblica anche in tempi difficili conditi da una interminabile pandemia.
Giovanni Alfano, Segretario Generale Regionale Coisp Molise