L’avvocato Lorenza Cuccaro tratterà in una rubrica specifica temi importanti e di stretta attualità e risponderà ai brevi quesiti che verranno eventualmente posti. I lettori potranno porre domande o sottoporre alla sua attenzione questioni di rilevanza pubblica inviando mail a: serviziterminus@libero.it
A quanti di voi sarà capitato di ritrovarsi in seno all’assemblea condominiale del proprio condominio a dover deliberare l’approvazione delle spese occorrenti per la conservazione o l’uso delle parti comuni dell’edificio condominiale? Vivere in un condominio ha sicuramente dei vantaggi, ma la necessità di affrontare spese (ordinarie e straordinarie) per la sua manutenzione rappresenta motivo di ansia e malumori. È il caso, ad esempio, dei lavori di rifacimento della facciata condominiale. Si tratta il più delle volte di interventi lunghi e complessi che in genere hanno un costo impegnativo e che devono essere deliberati dall’assemblea condominiale sotto la supervisione dell’amministratore. Mettere d’accordo tutti di fronte alla necessità di fare fronte ad una spesa così rilevante, non sempre è una cosa agevole. E poi c’è la difficile convivenza con i propri vicini di casa (salvo rare eccezioni come quella di chi Vi scrive), alcuni dei quali, a volte, in sede assembleare, è come se si sentissero autorizzati a gettare via la maschera ed a far emergere quell’acredine e quella malevolenza che nessuno di noi pensasse fossero capaci di esprimere, vuoi per quei panni appesi ad asciugare troppo frequentemente al piano di sopra, vuoi per il baccano fino a tarda notte fatto in occasione del compleanno, vuoi per quel saluto non risposto o per quella presunta aria di supponenza che in realtà in ciascuno di noi tradisce niente altro che l’incapacità di gestire i pensieri che sopravanzano con quotidiana prepotenza nella nostra mente.
La normativa in materia prevede che l’onere degli interventi di ristrutturazione delle parti comuni esterne di un edificio (sia la cosiddetta facciata principale, che quella interna o posteriore che dà sul cortile) debba essere a carico di tutti i condomini, siano essi favorevoli, contrari, astenuti o dissenzienti rispetto alla relativa delibera di rifacimentoa, sebbene le spese non vengono mai suddivise in parti uguali, bensì secondo i famosi millesimi di proprietà. Sono esclusi da questo genere di conteggi i soli proprietari di box auto, salvo diverse indicazioni contenute nel regolamento condominiale o nell’atto d’acquisto del box stesso.
Ecco allora che senso dell’inevitabilità da un lato, ed un pizzico di orgogliosa speranza che poi il nostro edificio condominiale, che rappresenta in fondo la parte sia pure solo esteriore della nostra abitazione, possa apparire al termine del maquillage condominiale più giovane e luminoso, ci inducono a cominciare mestamente a mettere da parte la nostra quota.Eseguiti i lavori, infatti, la soddisfazione ci gratifica, cosicché quando andiamo a versare la nostra quota del saldo all’amministratore, proviamo ancora a consolarci mentre questo, sorridendo, ci sottoscrive la ricevuta di pagamento. Peccato però che, proprio quando pensavamo che la questione fosse finita così, è proprio allora che invece cominciano a prendere forma i più inaspettati grattacapi. E sì perché il condòmino moroso (se va bene uno solo, altrimenti più di uno) ci sarà sempre, in ogni condominio, specie in tempi come quelli attuali, dove ritrovarsi incolpevolmente a tirare la carretta senza poter contare su un reddito adeguato, sembra essere diventata la regola. L’impresa esecutrice dei lavori dal canto suo reclama il legittimo pagamento di tutto quanto convenuto e deliberato, ma all’amministratore mancano una o più quote. Che succede allora?
L’art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile prevede in tali casi che ‘per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino […nel nostro caso all’impresa appaltatrice] i dati dei condòmini morosi’.
Quindi tocca all’amministratore procedere, incaricando un avvocato, e richiedere al Giudice di ingiungere al condòmino moroso il pagamento della sua quota, sulla base del solo ‘…verbale di assemblea condominiale contenente l’indicazione delle spese occorrenti per la conservazione o l’uso delle parti comuni..’ dice la costante giurisprudenza, secondo la quale detto verbale ‘…costituisce prova scritta idonea per ottenere decreto ingiuntivo pur in mancanza dello stato di ripartizione delle medesime, necessario per l’ulteriore fine di ottenere anche la clausola di provvisoria esecuzione del provvedimento, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c.” (in tal senso ad es. si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione il 21 novembre 2000 con la sent. n.15017) e lo deve fare (secondo le previsioni dell’art. 1129 del codice civile) ‘…entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso’: quindi, se l’esercizio si chiude a gennaio, l’amministratore deve iniziare l’azione legale di recupero del credito verso il condòmino moroso entro il successivo mese di giugno.
Detta così, nessun problema allora…In fondo noi abbiamo pagato la nostra quota e quindi stiamo a posto. E se l’amministratore non procede, non solamente per negligenza, ma semplicemente per valutazioni discrezionali sue proprie (ad es. il condòmino moroso è proprietario solo di quell’immobile che è già in procinto di essere venduto all’asta per soddisfare il credito di una banca ed intervenire nella procedura rappresenterebbe solamente un costo)? Che succede allora?E’ qui che cominciano i problemi. L’impresa esecutrice dei lavori, allora, non rimarrà con le mani in mano e si farà comunque avanti a richiedere allo stesso amministratore i nominativi dei condòmini morosi, così da procedere legalmente essa stessa contro ciascuno di loro. E sempre a mente del già citato art.63 disp. att. cod. civ., l’amministratore sarà obbligato a fornire ad essa l’elenco dei condòmini morosi. Ciò in quanto, con la pronuncia a Sezioni Unite dell’8.4.2008 (n.9148), la Suprema Corte ha appianato i contrasti precedentemente sorti, propendendo per la natura parziaria dell’obbligazione di pagamento, non già solidale, trattandosi di obbligazione divisibile per la quale, in assenza di esplicita previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, ogni condòmino risponde del debito comune in proporzione della propria quota (secondo criteri simili a quelli dettati dagl artt.752 e 1295 cod.civ. per le obbligazioni ereditarie).
E se ciò malgrado questi non pagano ? Il vincolo della solidarietà con i condomini diligenti ed in regola con i pagamenti, purtroppo permane sempre, solo che con il limite del beneficio in favore di questi dell’obbligo della preventiva escussione verso quelli inadempienti. Insomma se l’impresa non recupererà da questi ultimi il corrispettivo di quanto dovutole, avrà comunque titolo per bussare alla porta dei condòmini diligenti per pretendere il pagamento in loro vece. Per provare ad uscire da questo pericoloso ingorgo di responsabilità, il legislatore del 2012 ha così previsto (art.1135 punto 4 cod.civ.) l’istituzione obbligatoria in casi del genere di un preventivo fondo di garanzia, un fondo speciale, cioè “vincolato” ad una specifica destinazione, di cui l’amministratore non può disporre in modo difforme (diverso dal fondo morosi o fondo cassa morosi previsto, invece, dall’assemblea ogni qual volta risulti una situazione debitoria del condominio già esistente). Lo scopo dell’obbligatorietà era quello di garantire all’assemblea di poter sostenere serenamente e senza pericoli di pagamenti ulteriori, la realizzazione di opere di manutenzione straordinaria e/o di innovazioni. Ma come sempre succede il rimedio si è rivelato essere peggiore del male. E si perché nella maggioranza dei casi, l’amministratore non procede (per negligenza o per difficoltà oggettive) alla costituzione preventiva di questo fondo, magari anche perché compulsato dai condòmini che spingono per dare corso ai lavori necessari (i primi commentatori della norma hanno da subito lamentato che la previsione dell’obbligatorietà del fondo avrebbe portato ad una decrescita delle deliberazioni di opere straordinarie per mancanza di fondi), senza sapere così di fare il loro male, perché senza la preventiva costituzione del fondo, la stessa delibera di affidamento dei lavori sarebbe legittima e (secondo il Giudice di Pace di Taranto nella sent.983 del 18.3.2016) né il Condominio, né i creditori possono avviare azioni contro i condòmini inadempienti effettivi debitori (morosi), con l’effetto che a pagare alla fine finirebbero per essere sempre e comunque i condòmini in regola con i pagamenti. Quanta attenzione….
Avv.Lorenza Cuccaro