Abbiamo voluto titolare questo nuovo intervento riportando una scritta che c’è capitata di leggere sul muro di una costruzione posta alla periferia della città. Una frase che drammaticamente grida silenziosamente. Una frase che porta inesorabilmente a riflettere sulla situazione lavorativa, ed in special modo quella che riguarda i giovani molisani. I quali, dopo il periodo roseo, si fa per dire, della scuola, se non si iscrivono all’ Università altra fabbrica di illusioni, visto che annualmente sforna centinaia di disoccupati, si trovano dinanzi ad un bivio: o passeggiare lungo corso Vittorio Emanuele e misurare la pavimentazione rivestita con i lastroni di pietra; o salire le scale dei “potenti di turno”, e le promesse di occupazione fatte da chi può potrebbero ancora avverarsi, anche se si sa che le promesse fatte dai politici sono come quelle dei marinai; cioè vane, se non addirittura emigrare fuori dai confini regionali con la speranza di riuscire a trovare un occupazione che spesso non è mai quella che rappresenta l’indirizzo finale del ciclo di studi. Giorni addietro abbiamo riletto la lettera di un genitore rivolta ai politici molisani pubblicata da un giornale locale qualche anno fa, in cui si chiedeva di intervenire per creare nuovi posti di lavoro; sicuramente vi domanderete e i vecchi dove sono? Una lettera da cui traspare tutta l’amarezza di chi la scritta. Una lettera che evidenzia come le speranze dei molisani e in particolare quelle dei giovani, almeno che non appartengano alla categoria “degli amici, degli amici, degli amici”, non amiamo ripeterci ma alcune volte necessita, sono andate letteralmente in fumo. Speranze che, nonostante si stia cercando di dare una svolta alla situazione di stallo, lasciano spazio unicamente alla delusione, all’amarezza, alla disillusione. Tre sostantivi che, nell’accezione più pura del loro significato grammaticale e letterale, confermano, qualora ve ne fosse bisogno, che il detto “chi di speranza vive, disperato muore” è quanto mai attuale. Speranze che, attraverso l’accorato appello di un padre, evidenziano come “l’idra a sette teste” è viva e vegeta ed è pronta a divorare chiunque cerchi di contrastarla. Credeteci, rileggere, lettere simili fa male. Fa male al morale, fa male all’orgoglio, fa male al modo di essere genitore, di uomini, di cittadini. Non è giusto che la nostra realtà, in cui potrebbero nascere iniziative imprenditoriali rette da giovani, favorita anche dalle dimensioni del territorio, è ancora dominata da una mentalità di stampo “giurassico” improntata unicamente alla prepotenza, alla prevaricazione, all’arrivismo e al protezionismo. Una realtà dove le nuove generazioni, se non quelle “unte dal Signore”, e ve ne sono, possano esprimere appieno le proprie potenzialità. Le quali, se sfruttate costruttivamente favorirebbero la ripresa di una regione che scivola sempre più in basso. Non criticateci, ma i contenuti della lettera pesano come macigni che difficilmente possono essere rimossi, perché non vi è nessuna volontà di rimozione. Macigni che rammentano la fissità delle “pietre runiche” su cui sono impressi segni intraducibili, almeno da noi profani. Monoliti appartenenti a una cultura distante dalla nostra migliaia di anni che suscitano enigmi a chiunque si soffermi a pensare il perché sono lì; consapevoli che difficilmente si avranno risposte perché non ve ne sono. Risposte che, nel nostro “piccolo mondo”, che Antonio Fogazzaro non avrebbe esitato a definire “arcaico” e non antico è vigente la logica del clientelismo che sta annientando lentamente e inesorabilmente l’identità dei giovani molisani. Una regione paragonabile alla scaletta del pollaio citata dal prete personaggio del film “io, speriamo che me la cavo” che alla richiesta del maestro Sperelli di guardare il golfo da Napoli in una notte stellata, risponde di averlo già visto e con la faccia rivolta al muro dice “che è corta, stretta e piena di …..” non riportiamo integralmente la frase, anche se dovremo, perché abbiamo troppo rispetto per quel genitore e per i giovani. Paragone forte, che speriamo smuova le coscienze di chi occupa le stanze dei bottoni, e non sparli a sproposito, con accuse di parassitismo chi cerca di trovare la soluzione all’occupazione con lunghi pistolotti in occasione di convention organizzate da chi non ha nessun problema di come arrivare al fine mese. Convention in cui nonostante si annuisca amaramente traspare l’inesistenza e la non volontà di dare opportunità a quelli che vogliono riscattare la propria identità è certezza. Un’identità che, se le cose non cambieranno in fretta, non solo rafforzerà i contenuti della lettera ma anche la scritta riportata sul muro di periferia con cui abbiamo titolato questi pensieri forse senza senso.
Massimo Dalla Torre