Lo Smart Working in Italia, dopo un primo periodo sperimentale caratterizzato da vuoti legislativi e confusione terminologica, è stato introdotto con la Legge n. 81 del 22 maggio 2017 (anche detta Legge sul Lavoro Agile), che ha finalmente regolato la materia del lavoro da remoto. La normativa definisce lo Smart Working in tutti suoi aspetti giuridici: diritti dello smart worker e controllo da parte del datore di lavoro, strumenti tecnologici e modalità con cui viene eseguita l’attività da remoto.
Cosa si intende per Lavoro Agile/Smart Working?
Il Lavoro Agile/Smart Working, è sinonimo di benessere e produttività dei dipendenti, ma l’attuale emergenza sanitaria legata al Coronavirus ci dimostra quanto il lavoro a distanza si stia rivelando un’arma sempre più fondamentale per fronteggiare questo tipo di situazioni a qualsiasi livello territoriale. Lo Smart Working è un modello organizzativo in grado di portare notevoli vantaggi alle organizzazioni che lo adottano: in termini di produttività, di raggiungimento degli obiettivi, ma anche in termini di welfare e qualità della vita del lavoratore.
Lo Smart Working/Lavoro Agile, è una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati; un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all’interno di un’azienda che si basa su quattro pilastri fondamentali: revisione della cultura organizzativa, flessibilità rispetto a orari e luoghi di lavoro, dotazione tecnologica e spazi fisici. In questo quadro emerge come le aziende già abituate allo Smart Working prima dell’attuale situazione d’emergenza possano trarre un notevole vantaggio organizzativo e competitivo, rispetto a realtà meno avvezze a queste pratiche. In generale, sono diversi gli elementi da considerare quando si intende attivare iniziative di Smart Working in situazioni di emergenza.
Lo Smart Working va oltre il concetto di Telelavoro. Se infatti quest’ultimo si configura come una vera e propria forma contrattuale, lo Smart Working/Lavoro Agile, rappresenta un accordo tra lavoratore e organizzazione all’interno del rapporto di lavoro subordinato. Le due forme di remote working si differenziano soprattutto in termini di flessibilità e autonomia. Nello Smart Working luoghi e orari di lavoro sono scelti liberamente dal lavoratore. Le regole imposte al Telelavoro sono invece abbastanza rigide: orari, luoghi e strumenti tecnologici sono prestabiliti e rispecchiano lo stesso assetto organizzativo utilizzato nel luogo di lavoro. Nel settore pubblico, la diffusione dello Smart Working non ha fatto quel salto dimensionale in cui era lecito sperare alla luce dei principi e degli obblighi introdotti dalla Riforma Madia.
Una prima motivazione di questo fallimento è che la norma introdotta, benché sufficientemente chiara dal punto di vista degli obblighi e delle scadenze, non prevedeva specifiche risorse e misure di accompagnamento a disposizione (le poche presenti sono state attivate con grave ritardo rispetto alle scadenze), né sanzioni in caso di mancato rispetto dei termini. Una seconda motivazione, ancora più profonda, risiede nel fatto che l’innovazione organizzativa non può essere imposta per decreto, come purtroppo nel settore pubblico si tende a pensare: le difficoltà incontrate mettono in evidenza come, per rendere possibile un vero passaggio allo Smart Working nella PA, occorra cambiare prospettiva e non vedere e presentare questa iniziativa solo come un mero adempimento normativo, ma come un cambiamento culturale che deve passare da un coinvolgimento dei lavoratori e, soprattutto, da un’adesione vera ai nuovi principi organizzativi da parte del management della PA.
Questo perché una visione “legalista”, oltre a contrastare con lo spirito stesso dello Smart Working, limita molto la portata dei progetti portando gli enti pubblici meno convinti a fare il minimo indispensabile e non consentendo all’organizzazione di cogliere le reali opportunità che il cambiamento permetterebbe di ottenere. Per fare questo occorre che ciascuna PA sia stimolata ad interpretare lo Smart Working in base alle proprie caratteristiche, come un’opportunità di trasformazione della cultura dell’ente e di innovazione del modello di servizio al cittadino, facendo tesoro di altre esperienze già presenti nel comparto pubblico. In questo contesto, tuttavia, non è da trascurare il fatto che i tempi di attivazione dei cambiamenti nella PA sono molto diversi da quelli del settore privato, anche a causa della farraginosità delle procedure previste dalle normative sugli approvvigionamenti di beni e servizi. Per vedere gli effetti delle iniziative e dei provvedimenti adottati occorrerà quindi attendere tempi abbastanza lunghi.
L’approvazione della legge sul Lavoro Agile, le iniziative del Dipartimento Pari Opportunità e la direttiva della riforma Madia, insieme alla crescente attenzione mediatica sul tema, hanno sicuramente contribuito a sviluppare maggiore sensibilità e conoscenza sul tema. Il limite principale è rappresentato dalla percezione che molte attività presenti negli enti pubblici non siano compatibili con il lavoro da remoto. Tra gli altri ostacoli ci sono poi le procedure burocratiche ritenute troppo complesse, la mancanza di consapevolezza dei benefici ottenibili e le attività poco digitalizzate.
Se, dunque, nelle grandi imprese lo Smart Working costituisce una realtà, ben diversa è la situazione oggi presente nelle pubbliche amministrazioni. Nel 2019 solo l’8% delle pubbliche amministrazioni dichiarava di avere progetti strutturati, mentre un altro 1% di praticare lo Smart Working informalmente. Come nel settore privato, anche nel pubblico sono gli enti di maggiori dimensioni quelli più propensi a approcciare questo nuovo modo di lavorare. Rispetto alle organizzazioni private gli enti pubblici hanno non solo meno progetti strutturati, ma anche meno iniziative relative a specifiche leve. Confrontando le organizzazioni pubbliche e private di grandi dimensioni che sono tradizionalmente più sensibili su questi temi, il gap maggiore si riscontra nell’adeguatezza di dotazione tecnologica per il lavoro da remoto: i forti vincoli di spesa che connotano il settore pubblico, d’altronde, frenano gli investimenti per adeguare le tecnologie necessarie allo Smart Working.
Significativo è che invece l’istituto del telelavoro, spesso erroneamente associato allo Smart Working, sia presente in misura maggiore negli enti pubblici che nelle grandi imprese. L’articolo 18 della Legge n. 81/2017 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato) fornisce una definizione di Lavoro Agile improntata su flessibilità organizzativa, volontarietà delle parti e adozione di strumentazione tecnologica. Lo Smart Working, a livello giuridico, va dunque inteso come modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Oltre a fornire quest’importante definizione di Lavoro Agile, la norma disciplina alcuni aspetti legati alla materia come la necessità di un accordo scritto di Smart Working, concordato tra datore di lavoro e lavoratore, che espliciti l’esecuzione della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali, la durata dell’accordo, il rispetto dei tempi di riposo e del diritto alla disconnessione e le modalità di recesso.
Altri elementi rilevanti sono:
- la parità di trattamento economico e normativo;
- il diritto all’apprendimento permanente;
- gli aspetti legati alla salute e alla sicurezza.
Su quest’ultimo aspetto i lavoratori che decidono di aderire ad un accordo di Smart Working sono tutelati in caso di infortuni e malattie professionali per quelle prestazioni che decidono di effettuare all’esterno dei locali aziendali sia quando si trovano in itinere. La Legge Madia ha introdotto il tema del Lavoro Agile anche nella Pubblica Amministrazione. La Direttiva n. 3/2017 prevedeva infatti che le pubbliche amministrazioni, seppur nel rispetto di certi limiti, adottassero misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro e sperimentare forme di Lavoro Agile.
L’INAIL si è pronunciata relativamente ad alcune questioni come tutela assicurativa, classificazione tariffaria, retribuzione imponibile, dichiarando che nessuna subirà variazioni con l’adozione di lavoro in modalità agile. Più di recente, la Legge di Bilancio del 2019 ha definito alcuni criteri di priorità di accesso alle iniziative di Smart Working; a d esempio, indica di dare priorità alle lavoratrici nei 3 anni successivi alla conclusione del periodo di congedo obbligatorio di maternità e ai lavoratori con figli disabili. Per una migliore introduzione dello Smart Working in Italia sarebbe necessario incentivare gli investimenti in digitale.
L’attuale emergenza legata al Covid-19, il cosiddetto Coronavirus, ha contribuito a riaccendere l’ attenzione mediatica sul tema dello Smart Working. Molte realtà hanno adottato a pieno regime lo Smart Working con l’obiettivo di ridurre al minimo i rischi e le possibilità di contagio, senza rinunciare a portare avanti le proprie attività. E’ stato infatti il decreto attuativo del 23 febbraio 2020 n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica, a prevedere la sospensione delle attività e a favorire l’adozione dello Smart Working, attuabile sin da subito senza accordo preventivo col dipendente.
LO SMART WORKING IN EUROPA
Il Lavoro Agile è un fenomeno di interesse anche a livello europeo, come dimostra la risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016 sulla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale. Nel documento si evidenzia che il Parlamento europeo sostiene il Lavoro Agile. Uscendo dai confini nazionali emerge, infatti, che il fenomeno Lavoro Agile è un concetto presente, seppur con nomi, caratteristiche e livelli di maturità diversi in numerosi Paesi europei. Tra i Paesi pionieri dello Smart Working ritroviamo sicuramente l’Inghilterra.
Nel 2014 il governo britannico ha approvato la legge Flexible Working Regulation, che dà alle persone il diritto di richiedere forme di lavoro flessibile (non solo Smart Working, ma anche forme di flessibilità più tradizionali come part-time o telelavoro) e l’azienda può accogliere la richiesta o rifiutarla, ma solo adducendo motivazioni. Alla base della diffusione del Flexible Working in Inghilterra troviamo motivazioni legate al welfare e al benessere delle persone e la necessità di ridurre i costi degli spazi fisici, problema molto sentito in Gran Bretagna. Non è da meno l’Olanda che nel 2016 ha approvato il Flexible Working Act, legge con caratteristiche affini a quella inglese.
In Belgio, pur non sentendosi la necessità di una vera e propria legge in merito, alcune iniziative di Smart Working sono presenti nel Paese già dal 2005, con esempi virtuosi non solo nel settore privato, ma anche in quello pubblico. Anche in Svizzera negli ultimi anni si è riscontrato un aumento delle iniziative, principalmente mirate ad affrontare il problema del congestionamento dell’infrastruttura dei trasporti nelle ore di punta e oggi gli Smart Worker svizzeri sono pari al 25% dei lavoratori complessivi. Infine in Francia, sebbene non esista lo Smart Working così come è strutturato in Italia né una legge di riferimento, il 31 agosto 2017 sono stati approvati dei decreti della riforma del lavoro che alleggeriscono i vincoli del telelavoro, andando verso una maggiore flessibilità.
Ferdinando Onorato