Una lezione di verità e realtà, quella degli interventi che hanno spiegato le ragioni del NO a una stalla invasiva, che nega la vocazione agroalimentare e turistica del Molise, a un consiglio comunale aperto, voluto dalla minoranza, che non ha visto accolta la sua mozione nettamente contraria all’insediamento di una industria chiamata eufemisticamente “Stalla”. Non è, infatti, una stalla, ma un asilo di 12.000 manze di età compresa tra 14 giorni e 22 mesi di vita, che serve a portare questi poveri animali da sperimentazione all’ingravidamento e alla riconsegna, prima del parto, presso le stalle di origine, cioè in Emilia Romagna e Lombardia, per dare latte alla Granarolo.
Una multinazionale del latte che, sfruttando l’aria, l’acqua, la terra e la disponibilità (generosità) della sua classe politica e dirigente, e, impegnando 1.000 euro per un investimento di 24 milioni di euro, vuole realizzare nel piccolo Molise. Una Regione che, come tante altre e soprattutto con l’insieme delle aree interne, vuole (può) dimostrare il valore dell’agricoltura e la sua capacità di essere volano di un’economia che parta dalle risorse che uno ha. Prima fra tutte il territorio, il solo che può – se salvaguardato, tutelato e valorizzato – assicurare un domani, un reddito e uno stile di vita impostato sulla sobrietà e non sullo spreco e la distruzione che il profitto ha provocato e vuole continuare a provocare per nuovi irreparabili disastri.
Ma questi ragionamenti, insieme a tanti aspetti tecnici chiaramente esposti da un allevatore capace, Michele Ricci; un sognatore e animatore del suo territorio, Marcello Pastorini e un professionista attento, Stefano Vincelli, non sono serviti a far ragionare il sindaco, il vicesindaco e gli altri suoi sostenitori in maggioranza, per la regola “da un orecchio entra e dall’altro esce”.
E, così, dopo la solita passerella di chi è a favore per dispetto, questi “Sì” a prescindere e di chi ha dimostrato fastidio, pensando all’occasione offerta dalla progettualità della stalla grande come cento campi sportivi messi insieme, l’approvazione di un documento in cui è stato deliberato di “esprimere forte perplessità e allo stato attuale la posizione tendenzialmente negativa”, solo per poi, aggiungere “di offrire la propria disponibilità a ridiscutere lo stesso con l’azienda affinché offra le necessarie garanzie di compatibilità ambientale e si manifestino concretamente le prospettive occupazionali”; “di delegare il Sindaco a rivolgere formale richiesta al Presidente dell’Unione dei Comuni affinché convochi un consiglio dell’Unione per approfondire la questione in oggetto con il coinvolgimento delle istituzioni locali, provincia e regione, nonché con l’azienda interessata”; “di riservare ogni decisione in materia all’esclusiva competenza del Consiglio Comunale”.
In altre parole, per dire, con la solita tiritera, “dobbiamo conoscere il progetto e vogliamo la Granarolo a spiegarcelo”, un fare proprio di chi continua a non capire l’importanza della scelta e ad offendere chi il progetto lo ha reso pubblico, chi lo ha studiato (pensiamo anche ai poveri tecnici della Regione) e reso leggibile, ma che, a conti fatti, nessuno che ricopre il ruolo politico conosce e ha letto o si è interessato di ricercarlo per farsene una idea personale e politica.
La incapacità, in pratica di difendere il proprio territorio, che, in questo caso, è sì Larino, ma per le conseguenze disastrose provocate dal progetto industriale che, ripetiamo, non ha niente a che vedere con l’agricoltura, è l’intero territorio molisano.
Larino Viva