E’ bello pensare alla vita come un cammino dove ogni evento è un tratto di strada: quelli importanti dei traguardi, quelli tristi ostacoli che, seppur rallentandoci, possono diventare l’opportunità per riposarsi e ripartire lungo quel percorso che parla di noi, che è solo nostro.
La vita come un cammino, il cammino come una ricerca.
Viktor Frankl, psichiatra e neurologo austriaco, internato nei campi di concentramento di Auschwitz, dopo aver sperimentato il dolore e la tortura, l’incontro quotidiano con la morte, sostenne che la vita dell’uomo è votata alla ricerca di significato e, proprio il significato positivo che le attribuiamo, permette di mantenerci in vita.
Frankl arrivò addirittura a dire che il significato della vita va oltre la comprensione umana, che è qualcosa a cui bisogna credere al di là della propria ragione.
Pertanto ciascuno di noi è e deve essere costantemente in un cammino di scoperta che ogni giorno aggiunge qualcosa di nuovo e arricchisce.
Tuttavia, talvolta questo cammino si ferma difronte ad un bivio in cui è particolarmente difficile sapere qual è la strada migliore da intraprendere.
Sempre Frankl ci invita a riflettere sul senso degli ostacoli che incontriamo, considerandoli prove da affrontare per sperimentare i valori che elevano il nostro spirito interiore.
Ma quando siamo di fronte ad una scelta come la effettuiamo?
Scegliamo con la testa o con il cuore?
Qualcuno sceglie anche con la fede, i Re Magi per esempio, che scelsero di lasciarsi guidare da una stella. La fede, un’altra possibilità nel processo decisionale.
La psicologia parla di sistema decisionale come di un meccanismo che si basa sull’interazione tra sistemi controllati e automatici da una parte e sistemi cognitivi ed emotivi dall’altra.
Il comportamento decisionale è quindi il prodotto di tale interazione ed affinché il processo decisionale sia eseguito in maniera efficiente, è necessario che tutti i sistemi funzionino correttamente e diano il loro contributo.
Il ruolo delle emozioni in questi processi decisionali è molto importante e la sua valenza trova conferma nell’analisi dell’attività cerebrale: i sistemi emotivi, così come quelli automatici apportano infatti un contributo fondamentale nella formazione delle decisioni da parte di chi deve scegliere.
Tuttavia, assodato qual è la genesi della decisione, come si può scegliere nel migliore dei modi?
Frank ci suggerisce di scegliere con uno sguardo incline alla speranza ed alla resilienza.
La speranza in quanto sentimento con cui guardiamo fiduciosi al futuro, la resilienza come la forza d’animo con cui superiamo i traumi subiti.
In questo modo, quando ci capiterà di trovarci ai bivi più o meno dolorosi della nostra vita e di pensare che non ci siano soluzioni possibili, quando saremo attanagliati dalla sfiducia, dallo sconforto, dalla solitudine, quando i nostri occhi non saranno abbastanza lucidi per seguire le frecce che indicano la direzione, potremmo seguire l’insegnamento di questo grande uomo, di Frankl, che ci invita a scegliere con la speranza nel cuore, con la fiducia che “qualcuno guarda dall’alto, con uno sguardo d’incoraggiamento, ciascuno di noi, un amico o una donna, un vivo o un morto, oppure Dio. E questo qualcuno si attendeva di non essere deluso” (Uno Psicologo nei lager).
Può sembrare assurdo ma è proprio la speranza, la risorsa che attiviamo nei momenti di dolore e difficoltà, pertanto la dobbiamo coltivare e più in là vedremo come.
Sia chiaro, sperare non significa aspettarsi che le cose vadano meglio, io personalmente, nonostante il senso comune spesso usi queste due parole come sinonimi, sono convinta che le aspettative siano la criptonite della speranza.
Sperare, a mio avviso significa aprire il cuore a possibilità nuove, mettendoci in relazione con la realtà che viviamo, per quanto dolorosa possa essere, ridefinendo e ridimensionando il significato negativo che le attribuiamo, rivolti a quanto di buono possa ancora accadere.
Se Frankl, non solo a parole, ma con i fatti e con la sua vita, ci mostra che la speranza e la fiducia riescono a sopravvivere nei campi di concentramento, in luoghi terribili e terrificanti, noi dobbiamo credere che sia possibile che esse sopravvivano anche nelle situazioni che ci troviamo ad affrontare e riteniamo essere le peggiori in assoluto.
Tuttavia, la speranza sebbene sia una risorsa essenziale che ci viene in soccorso nei momenti di necessità, non elimina, l’ansia, la paura o la preoccupazione ed, a dire il vero, questo è anche un bene poiché l’apprensione diventa, nella giusta dose, un fattore protettivo dalla sopravvalutazione cieca di sé e dalla fiducia estrema ed incondizionata negli altri e nelle circostanze che viviamo.
Per concludere mi auguro di aver seminato nel vostro cuore, qualora ancora non ci fosse, il seme della speranza, lasciando però a voi il compito di coltivarla.
Per fare questo potremmo continuare a seguire gli insegnamenti di Frankl che nel suo libro: “Uno psicologo nei lager” (di cui consiglio la lettura), ci offre:
- Tenere vivo il ricordo delle persone amate per alleviare il dolore e sostenere nelle avversità;
- Coltivare l’umorismo, come strumento per prendere tempo, e distanze momentanee dalla situazione che arreca dolore per poi tornare ad affrontarla con nuova carica;
- Dedicarsi agli altri come mezzo per trovare il senso ultimo e più alto delle cose e della vita uscendo da una visione egocentrata di sé e della sofferenza;
- Credere nel futuro, sperando contro ogni speranza per proteggersi e sopravvivere. Frankl scrive che, nrei campi di concentramento, chi perdeva la speranza nel futuro, perdeva anche la forza fisica e si lasciava morire;
- Capovolgere la prospettiva sulla vita, intendendola cioè non come qualcosa che si subisce semplicemente ma come qualcosa a cui dare un senso e di cui sentirsi responsabili.
- Senza nessuna pretesa di risoluzione dei problemi ma con la speranza di affrontarli al meglio…
dott.ssa Antonella Petrella, psicologa psicoterapeuta
per info e contatti: www.antonellapetrella.it
email: antonella.petrella@virgilio.it