“Land Degradation”, il Degrado delle Terre. UniMol ancora protagonista in campo internazionale

60 tra studiosi e scienziati, di oltre 12 Università, connessi interattivamente tramite la piattaforma webinar, tra Italia, Kazakhstan, Kirghizistan, Cina, Croazia e Slovacchia; oltre 40 le calls, gli interventi di ricercatori italiani, europei e d’oltreoceano, del CNR e del CREA il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia.
È degli inizi di dicembre il primo workshop Land evolution and degradation in Italy: the key indicator to monitor landscape vulnerability and degradation risk. Degrado del suolo, vulnerabilità e monitoraggio, l’analisi del territorio italiano.
Il degrado delle terre colpisce l’Italia in maniera significativa per il circa il 25% del territorio nazionale ed in particolare le regioni centro-meridionali, meridionali e insulari (Campania, Molise, Basilicata, Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia) dove, oltre allo stress di natura climatica, la pressione spesso non sostenibile delle attività umane sull’ambiente da un lato determina una riduzione della produttività biologica ed agricola, dall’altro una progressiva perdita di biodiversità degli ecosistemi naturali.
Queste, nel dettaglio, le problematiche affrontate all’UniMol, nella Sala “E. Fermi” della Biblioteca di Ateneo nel primo workshop – organizzato nell’ambito del progetto di cooperazione universitaria internazionale IUCLAND sul degrado delle terre – dal titolo L’evoluzione del paesaggio e rischio ambientale in Italia: gli indicatori per il monitoraggio del paesaggio e del rischio di degrado del territorio.
Lotta alla desertificazione, difesa e valorizzazione del territorio, riduzione della degradazione del suolo, e del rischio dei cambiamenti climatici, sono stati i punti nodali caratterizzanti la prima parte della mattinata di lavoro; il workshop poi, coordinato dal prof. Claudio Colombo, ha voluto definire, dal punto scientifico, che cosa si intenda per degradazione del paesaggio individuandone gli indicatori ambientali e le cause principali legate alle variazioni climatiche ed alle attività umane.
Nella sua introduzione, il prof. Colombo, ha rimarcato come “il concetto del Degrado delle terre” cha subito una graduale e crescente evoluzione nella sua accezione, e di pari passo al costante tentativo di definire un processo che, seppur caratterizzato da cause locali, sta sempre più assumendo la connotazione di un problema globale. Il “Degrado delle terre” non riguarda più le aree aride, semi-aride e sub-umide secche. La desertificazione ed il degrado delle terre sono due fenomeni che interessano con intensità specifiche ed estensione diverse, anche i Paesi europei che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. É ormai evidente che tale processo interesserà in modo più esteso le aree dell’Italia centro-meridionale e insulare esposte a stress di natura climatica e alla pressione delle attività umane sull’ambiente, spesso non sostenibile. Il prof. Angelo Belliggiano – coordinatore della Summer School di giugno 2017 – ha posto l’attenzione sulle aree interne evidenziando “Le aree soggette al degrado del paesaggio sono caratterizzate dalla presenza di ecosistemi fragili dal punto di vista ecologico, molto sensibili ad incontrollati sfruttamenti delle risorse suolo ed acqua e hanno bisogno di interventi specifici per la conservazione dei suoli.

In queste aree, ed in particolare nella regione Molise, sono, pertanto, di grande attualità le questioni legate ad uno sviluppo sostenibile, ovvero uno sviluppo socio-economico che possa essere raggiunto mediante una gestione sostenibile delle risorse naturali”. La comunità scientifica partner, presente al workshop ed in web conference con Kazakhstan, Kirghizistan, Cina, Croazia e Slovacchia, ha raccolto, in un’unità di vedute, alcuni dei temi sul problema del degrado delle terre, osservandolo da prospettive diverse, dal punto di vista normativo e legislativo, ma anche della gestione delle foreste, pascoli, e delle colture. Questa analisi ha reso il prosieguo del programma dei lavori articolato da una scaletta di cinque brevi presentazioni. La prima relazione del prof Roberto Tognetti, docente di Selvicoltura e Assestamento Forestale ha elencato alcuni fattori di disturbo che influenzano lo sviluppo naturale e la dinamica degli ecosistemi forestali e gli effetti sul degrado del suolo, la seconda presentazione, curata dal prof. Antonio De Cristofaro, docente di Entomologia, ha riguardato l’importanza delle pratiche biologiche in agricoltura per limitare l’uso di pesticidi e proteggere la biodiversità.

Il terzo intervento, illustrato dalla prof.ssa Mariarosaria Mauro, docente di Diritto Internazionale, ha approfondito i principali strumenti internazionali di tutela dai rischi ambientali globali, soffermandosi in particolare sul diritto all’acqua ed alla terra e sulla dichiarazione dell’ambiente umano delle Nazioni Unite, priorità di vitale importanza, in quanto presupposto del benessere dei popoli e del progresso del mondo intero. La quarta presentazione è stata del prof. Matteo Luigi Napolitano, docente di Relazioni Internazionali, che si è caratterizzata dalla discussione sulla politica ambientale dell’Unione Europea degli ultimi 20 anni ed in modo particolare sulla strategia Agenda 2000 che, come è noto, ha posto la basi per rendere più compatibile l’ambiente con l’economia dell’UE, proteggendo la natura e salvaguardando la salute e la qualità della vita. L’ultimo intervento è stato quello della prof.ssa Elisabetta Salimei, docente di Nutrizione Animale, che ha mostrato alcuni problemi ambientali connessi all’intensificazione delle produzioni zootecniche, evidenziando in modo specifico gli effetti sul suolo e sui pascoli, sulla riduzione della biodiversità, e sui rischi di erosione idrica.
A provvedere alle conclusioni, ad una sintesi ed ai saluti finali è stato ancora Claudio Colombo che ha chiuso il meeting ringraziando i partecipanti e rimarcando che nel prossimo futuro l’Italia Centrale, ed il Molise in particolare, dovrà difendersi dai fenomeni naturali legati al dissesto idrogeologico, fenomeni che nella maggior parte dei casi sono prevedibili o addirittura causati dallo stesso intervento umano. La progressiva perdita di suolo fertile, infatti, rendendo sempre più difficile l’esercizio dell’attività agricola, minaccia la sostenibilità economica delle comunità delle aree più interne e appenniniche, rischiando di accelerare irreversibilmente i processi di declino e di desertificazione del territorio.

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