La vite e l’olivo, con i loro vini e i loro oli, hanno tutto per diventare testimoni principi della bontà e della bellezza espresse dai territori molisani.Perché ciò succeda, è necessario: una programmazione che si doti di un piano vitivinicolo – ciò vale anche per l’olivicoltura e il suo olio – e, al suo interno, di una strategia di marketing capace di utilizzare e non disperdere(vedi Expo 2015) le risorse; una forte aggregazione dei produttori, siano essi viticoltori o olivicoltori; una spinta alla ricerca e alle innovazioni per la piena sostenibilità della sola agricoltura possibile nel Molise, quella contadina. Dare immagine ai prodotti di quest’agricoltura e dignità ai suoi produttori. Senza dimenticare la cultura, cioè la necessità di raccontare questi prodotti e i suoi protagonisti, ben sapendo che è proprio la cultura l’arma vincente, la sola capace di spalancare la porta del mercato e, non solo, a mantenerla aperta per un tempo lungo.
Si tratta di dare quella priorità che merita un mercato sempre più globale, ancor più complesso e difficile di ieri, dove, però, attente politiche e strumenti all’altezza del compito hanno la possibilità di vincere la concorrenza affermando il luogo, il territorio, oltre che il prodotto, cioè la qualità dell’origine che rappresenta la sua identità.
Il vino e l’olio, come tutto il Molise, pagano a caro prezzo la mancanza di una visione del mercato e la scarsa o nulla attenzione alla comunicazione.
Ci sono successi per il vino e ciò è dovuto più a un impegno dei singoli produttori che a unità e dialogo tra questi e le stesse istituzioni, con queste ultime che mostrano una vera e propria schizofrenia nel momento in cui improvvisano- ancor più quando si spendono per questa o quella iniziativa promozionale fuori dal Molise e, nel contempo, nel Molise promuovono iniziative di altro tipo, quelle che vanno a rubare il terreno alla stessa vite o allo stesso ulivo, che danno quel vino o quell’olio che si è pensato di promuovere.
Succede sempre quando lo sguardo di chi è al comando delle operazioni non riesce ad andare oltre la punta del naso.
In questo modo non si dà spazio neanche a quello che pure c’è e si fa. Penso al Coordinamento delle città dell’olio; alle tre associazioni dei sommelier che, con la loro crescita e il loro impegno, hanno dato impulso alla cultura del vino e, ultimamente, anche dell’olio; al “Movimento del Turismo del Vino nel Molise” e alle sue preziose iniziative, in particolare “Cantine aperte” e “Cinema in Cantina”, che tanto hanno dato all’immagine del vino molisano e alla diffusione della sua cultura; al Consorzio di tutela dei vini del Molise e a quello, di recente costituzione, riguardante la “Tintilia del Molise” Doc o, anche, Dop. Penso, anche, alla necessità e urgenza di dare alla Doc “Molise” Olio Extravergine di Oliva, il suo Consorzio di Tutela per far fare agli oli molisani quel salto sulle scansie più alte del mercato, ciò che vuol dire miglior rapporto qualità/prezzo e, con esso, miglioramento del reddito e delle condizioni di vita degli olivicoltori, e, non ultima, immagine dell’olio e del territorio molisano.
Ci sono spazi enormi da conquistare se vengono messe in atto – ripeto – politiche e strumenti adeguati a una realtà piccola per l’incidenza della vite e dell’ulivo, del vino e dell’olio sul quadro complessivo nazionale, ma importante per il futuro dell’agricoltura molisana e dello stesso Molise.
L’esempio che faccio è quello di un Paese come gli Stati Uniti, sempre più, con l’espansione dell’olivicoltura in California, produttore e sempre più consumatore di olio di oliva, visto che il consumo è continuato a crescere in questi ultimi decenni, fino ad arrivare, nel corso di un anno, a un litro a testa.
Una crescita sostenuta, e non poco, da un’azienda molisana, la Colavita, che partita da S. Elia a Pianisi, ha conquistato il grande Paese del Nord America, fino ad essere presente ovunque e, soprattutto, a diventare una delle grandi protagoniste, con uno dei più antichi e autorevoli istituti di cucina, la Culinary Institute of America in Hyde Park sull’Hudson river di N.Y., della diffusione della cultura gastronomica italiana, dell’olio in particolare.
Un processo, quello dell’olio di oliva, che ha tutto per ripercorrere la strada del vino italiano, avviata trent’anni fa, quella che ha reso gli Usa il primo Paese importatore. Basta una corretta e attenta strategia di marketing per cogliere i frutti – in America, come negli altri Paesi che si aprono al mercato dell’olio – delle sue azioni e rendere l’olio di oliva un prodotto sempre più ricercato.
Pasquale Di Lena