Uno degli aspetti ‘pesanti’ e che destano sconcerto, oltre che grande sofferenza, di questa terribile e dolorosa pandemia è sicuramente la falcidia di persone anziane, non sempre affette da una serie di gravi patologie. Premetto di trovare discutibile l’accettazione passiva del fatto, perché dopo una vita spesso sofferta si avrebbe diritto a terminare il ciclo vitale in serenità, ma anche perché le ‘classifiche’ di fronte ad un tema serio e triste come la morte non dovrebbero esistere. Detto questo non tornerò sull’argomento; ma da tempo sentivo di fare questo doveroso incipit ai miei articoli.
Siamo cresciuti nell’adorazione della nostra terra e soprattutto nella fierezza delle tradizioni, salvo scoprire in tarda età che il Molise stava degradando, più che da punto di vista ambientale (che pure si è modificato in peggio) da quello morale, intellettuale e sociale; ci sono rimaste finora da ‘utilizzare’, come stendardo di vita, le radici, forti ed intoccabili. Ora questa ‘epidemia degli anziani’ sta rimettendo il discorso in gioco, ci sta togliendo anche questa ultima bandiera, perché con i nostri saggi ‘grandi vecchi’ va via proprio il loro mondo, quello sempre uguale ed onesto, la fierezza del proprio essere e quella, che oramai anacronisticamente viene definita ‘molisanità’, che tuttavia loro sentivano e sentono ancora forte e in parte riescono a tramandare.
Ma non basta. Per decenni abbiamo sentito e raccontato storie di molisani che avevano dovuto conoscere la sofferenza del flusso migratorio, quello necessario e niente affatto desiderato e, subito dopo, ci siamo rasserenati nel sapere che almeno alcuni di loro erano poi riusciti nel sogno della loro via, crearsi una posizione fuori regione propagandando la forza del Molise. Con soddisfazione ancora maggiore abbiamo appreso che molti di loro riuscivano anche a tornare residenti nelle nostre città e paesi, casomai una volta raggiunta la pensione, appunto per terminare il ciclo di vita nel luogo delle radici mai dimenticate. Anche questo romantico aspetto purtroppo sta cambiando. Un amico geriatra mi ha raccontato che uno studio specifico aveva rivelato come diversi tra gli ‘emigrati di ritorno’ pensionati dopo un periodo breve di recupero delle origini, avevano deciso di ritornare in terra ‘straniera’: il motivo non era da ricercare nella voglia di rimanere dove vivevano ed erano cresciuti figli e nipoti, o non solo. Il motivo scatenante era dato dal fatto che la sanità molisana non era in grado di garantire a tutti cure adeguate per le patologie che in tarda età sono piuttosto diffuse; allora meglio tornare nelle grandi città, maggiormente ‘coperte’ o nelle nazioni straniere meglio attrezzate.
Questo terribile momento pandemico, con le notizie di una sanità regionale ridotta allo stremo, con il contagio che riempie gli ospedali e con la generale concentrazione degli interessi esclusivamente sui malati di coronavirus avrà sicuramente rafforzato e accelerato questo fenomeno di nuovo ‘distacco’ dalla terra natìa, senza contare che a molti non sarà proprio più riuscito di tornare, visti anche i divieti che da un anno a questa parte sono imposti dalle norme di prevenzione del contagio.
Il Molise, quindi, sta perdendo i contatti con i propri anziani, sia quelli in loco che quelli, ancor più numerosi, emigrati altrove e all’estero; e di conseguenza sta perdendo, forse in maniera definitiva, le proprie radici. E’ un distacco lancinante di cui probabilmente il territorio ancora non ha contezza: e questo fatto aggiunge tristezza al dolore già forte.
Stefano Manocchio