Lo spunto di questa riflessione-testimonianza mi viene da un volume appena pubblicato, a firma di Massimo Borghesi che raccoglie le omelie di don Giacomo Tantardini, sacerdote lombardo, figlio spirituale di don Luigi Giussani che con grande passione svolse il suo apostolato a partire dalla metà degli 70 tra gli studenti dell’Università di Roma. Il libro in uscita in questi giorni con un titolo bellissimo, “È bello lasciarsi andare tra le braccia del Figlio di Dio”, è stato pubblicato, per espressa indicazione del Papa, dalla Libreria Editrice Vaticana. Nel corso degli anni le sue omelie hanno nutrito spiritualmente migliaia di giovani e non più giovani che affollavano il sabato sera la basilica di San Lorenzo fuori le Mura.
“Nessuno si distraeva, quando predicava: ogni parola restava nel cuore e illuminava la vita”, queste le parole di introduzione al libro di Papa Francesco, che ha presenziato e concelebrato in diverse occasioni con Don Giacomo in San Lorenzo. Ero appena arrivato a Roma nell’ottobre del 1974 fresco diplomato al liceo classico di Isernia, spaesato e senza amicizie se non il fratello di mia madre che aveva tutto il desiderio di ospitarmi.
Cercavo di orientarmi, alla stazione termini presi il 9 che portava all’università, li c’erano due splendide ragazze che parlottavano tra loro, per attaccare bottone chiesi se quello era l’autobus giusto per l’università, tra una chiacchiera e l’altra una delle due mi chiese perché non vieni con noi? Dove? Stiamo andando a messa alla cappella universitaria, non avendo nulla da fare le seguii, la celebrazione la tenne un giovanissimo sacerdote milanese, Don Giacomo.
Non nascondo che erano anni che non mettevo piede in chiesa, effetto perverso del seminario, ma Giacomo mi affascinò subito, tant’è che la mia amicizia è durata quasi quarant’anni, fino alla sua morte. Quante volte ho avuto la fortuna di fare la fila sul viale antistante la Cappella Universitaria per confrontare con lui i miei dubbi, superare le mie fragilità, o confessarmi. Ebbi la fortuna di coabitare con lui alla Magliana una delle prime esperienze a Roma di appartamenti di fuorisede della comunità, il primo giorno che arrivò io ero addetto alla cucina e gli chiesi, Giacomo come fai colazione la mattina? Un uovo alla coque, era la prima volta…uscì un bel uovo sodo, poi di volta in volta mi spostai su via Carlo Felice, via Morgagni e alle Cappellette di San Luigi. Spesso mi è capitato di assistere alla celebrazione della Santa Messa o guardarlo pregare, vi garantisco per me era una cosa bellissima, ricordo il suo sguardo rivolto verso il Santissimo mentre declamava, inginocchiato, il breviario che teneva aperto tra le mani, ogni sera si chiudeva la giornata con la recita della compieta.
Il suo viso era sempre illuminato di un sorriso radioso e i suoi occhi esprimevano un continuo stupore, come quelli di un bambino. Era rapito dalla presenza di Gesù, lo adorava stringendosi commosso ai piedi di Maria sua Madre. Dalle sue prediche traspariva chiaro questo suo amore e per noi che lo ascoltavamo era come dissetarci ad una sorgente. Chiunque lo osservasse pregare si stupiva di partecipare a quel riconoscimento grato, da cui sgorga la fede. E’ stata una grazia essergli amico e aver potuto condividere la sua amicizia-letizia, mi ha insegnato a non guardare la punta del dito, ma li dove il dito puntava, mi ha insegnato a pregare e a lasciarmi andare. Sono stato fortunato ad essergli divenuto amico e di essermi trovato a condividere con lui tanti momenti sempre più gratuiti.
Di lui continuavo mi incantava il suo amore per il Signore Gesù, per sua madre Maria, per i Santi e per don Giussani. Quell’amore volevo imparare perché in quello vedevo consistere tutto il Cristianesimo. Era un amore che trovava nella preghiera la sua sorgente ed il suo compimento e coinvolgeva sempre più persone con i loro bisogni, i loro interessi, le loro caratteristiche e abilità. Un Amore che creava rapporti e lavoro, giudicava umilmente ma con autorevolezza ogni cosa. Seguire don Giacomo non era così facile, non conosceva orari, era sempre pronto a partire, non era mai “accomodante” o accomodato. Unica ragione per stargli vicino era quell’attrattiva che il suo volto irradiava e il guardarlo pregare, svelava il mistero dal quale essa sgorgava.
In questi anni, parlo della mia vita, ho toccato con mano che Maria, la Madre di Gesù, intercede realmente per noi perché siamo suoi figli amatissimi. Con la morte di don Giacomo, purtroppo, i rapporti, le opere, nati e cresciuti intorno a lui si sono sfaldati, ognuno ha preso una sua strada, ma come disse don Eugenio Nembrini tutti quelli che girano nel mondo di CL o dintorni a Roma sono tutti figli di don Giacomo, quell’unità che si era creata intorno a lui si è un po alla volta sfaldata, ognuno ha preso la sua strada ma tutti vivono nel ricordo e degli insegnamenti di don Giacomo.
Nel suo tormento, nella sua malattia si è mostrato sempre lieto e grato perché era come portato e sorretto dall’amore per Gesù, per Maria e per i suoi amici in Paradiso (i Santi) e come un bambino si affidava completamente a loro lasciandosi condurre; questa è stata la testimonianza che ci ha reso a San Lorenzo, fino a qualche giorno prima di Morire.
In noi che lo abbiamo conosciuto, seguito, amato sarebbe stato bello vivere forte il desiderio e la preoccupazione di mantenere in vita forme e riti che con Giacomo generavano vita, una cosa di certo rimane vivo e vero solo ciò che don Giacomo ha vissuto e insegnato:”Chi prega si Salva”. Oggi ognuno di noi continua a vivere nel suo pieno ricordo e continua a trasmettere quello che lui ci ha trasmesso.
Alfredo Magnifico