La condanna inflitta dal giudice al termine di un processo penale, se non è particolarmente elevata, gode spesso di un regime di sospensione dell’esecuzione che evita all’imputato di varcare le soglie dell’istituto penitenziario. Tecnicamente si parla di sospensione dell’esecuzione della pena ed è richiesta dal magistrato del Pubblico Ministero quando la condanna alla pena detentiva non supera i tre anni di reclusione. In questi casi il magistrato ha il potere–dovere di sospendere la pena.
Il limite di tre anni viene allungato a quattro anni ex art. 47 ter, co. 1, l. 26.7.1975, n. 354, quando trattasi di:
a) donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci, con lei convivente;
b) padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole;
c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali;
d) persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente;
e) persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia.
Detto limite è addirittura portato a sei anni nei reati di uso o cessione di sostanza stupefacente quando il tossicodipendente aderisca a programmi terapeutici e socio-riabilitativi o intenda sottoporsi a programmi di recupero (artt. 90 e 94 del D. P. R. n.° 309/90).
Ciò detto, come ogni regola che si rispetti, anche quella citata ha le sue eccezioni.
Vi è una particolare tipologia di reati che, a prescindere dall’entità della pena (anche se lieve), non ne consentono la sospensione.
In questi casi l’imputato correrà il rischio di essere tradotto presso un istituto penitenziario a prescindere dall’entità della condanna.
Questi reati sono elencati nell’ordinamento penitenziario all’art. 4 bis e hanno ad oggetto i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, i delitti di omicidio, rapina aggravata, alcune ipotesi di estorsione, violenza sessuale, incendio boschivo, furto in abitazione o con strappo, ecc….
Il divieto di sospensione dell’esecuzione nei confronti dei condannati per questi delitti trova la sua ratio nel particolare disvalore del reato commesso, per cui il legislatore ha escluso l’applicabilità dei benefici ritenendo che la particolare pericolosità del soggetto non sia compatibile con gli strumenti rieducativi previsti dalla legge e dall’ordinamento penitenziario, visto che questi reati ostano anche alla concessione di plurime misure alternative alla detenzione.
In conclusione, si crea spesso il paradosso in cui alcuni imputati vengono condannati a due/tre anni di reclusione e restano in stato di libertà mentre altri, benché condannati a pochi mesi, vengono privati della libertà e tradotti in carcere perché responsabili, appunto, di un reato ostativo.
Avv. Silvio Tolesino
La parola all’esperto: I reati ostativi, l’eccezione alla regola della morbidezza
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