La Festa di San Pardo per me rappresenta la metafora della vita. La festa ti coinvolge emotivamente perché senti di farne parte, di essere della partita, quella della vita. Nel primo giorno, il 25 maggio, l’attesa mi ricorda l’attimo che precede la nascita di un figlio, il principio di un giorno, l’inizio del cammino di un’esistenza, che seppur precaria, effimera, ti riempie di piaceri, di gioie, ti regala il sorriso, belle emozioni . E’ un inizio bello, magico, senza pensieri, ricco di colori, suoni, farcita dall’allegria degli abbracci degli amici, dal calore della gente, da un’atmosfera che fa sognare come l’ottimismo di un bambino felice all’alba della vita. Il 26 maggio si sente nell’aria la maturità raggiunta, il momento di massima forza come nella parte centrale della propria esistenza. L’atmosfera è da festa di matrimonio in cui insieme ai santi ti senti invitato, è il momento in cui si cerca dare senso alle proprie azioni, in cui il lavoro prodotto dalle proprie mani e a Grazie de Dije si alleano nel tentativo di costruire un futuro a chi verrà dopo di noi. Il 27 maggio ci si avvia verso il saluto, il commiato. E’ un finale quasi silenzioso, ma una scampagnata allegra ci ricorda che la vita va vissuta con gratitudine, col sorriso, poiché anche se è corta e minata da dolori e momenti di sofferenza, è un dono, un’occasione irripetibile, da godere fino alla fine. Il rientro del Santo in Cattedrale è il commiato commosso di chi è costretto a salutare un proprio caro, la propria terra, i propri sogni. Ma , si sa, la vita è una ruota, gira, ciclicamente si rinnova e noi larinesi, in quel momento, con le lacrime agli occhi, lasciamo il testimone a chi verrà dopo di noi, i nostri figli, carne della nostra carne. In quel momento, pensando a loro, ci guardiamo e esprimiamo un augurio sincero: Come auanne cuescì l’anne che ve! : Come quest’anno così l’anno prossimo: arrivederci Primavera!
Marcello Pastorini
( foto Valentina Pastorini dal titolo ” sacro e profano”)