Ogni anno che passa è sempre più difficile trovare consensi quando si vuole parlare di legalità e si vogliono ricordare le vittime che per tale ideale hanno donato la loro vita. E’ sempre la stessa storia: la legalità in questo Paese non è la regola ma l’eccezione. All’epoca, non avevo ancora ventiquattro anni e ricordo ogni minimo dettaglio di quell’orribile 23 maggio 1992. La mia ammirazione per Giovanni Falcone, per la sua vita, i suoi ideali e la sua perseveranza, sono stati uno dei motivi di orgoglio per aver studiato Giurisprudenza e per avere sostenuto la tesi di laurea in diritto penale proprio sulla normativa antimafia in materia di appalti pubblici. Ero orgoglioso dell’esistenza di magistrati come lui dediti al servizio dello Stato con spirito di sacrificio mai visto prima di allora. Mi chiedevo come si facesse a non supportarlo nelle sue azioni! Era pronto alla morte Falcone, lottatore infaticabile in uno Stato che lo ha abbandonato senza mai aver voluto combattere con forza e determinazione le mafie. Falcone aveva paura ma era spinto dalla convinzione che un futuro migliore fosse possibile e che la mafia potesse essere sconfitta. Purtroppo ricordo molto bene come all’epoca fu isolato da tutti. Nessuno si ricorda di lui tranne nelle ricorrenze dove ci sono inutili passerelle con falsi attestati di solidarietà e di stima come se fosse un concorso a premi. Quando li vedo e li ascolto ogni anno penso alla enorme ipocrisia perché ricordo bene che Falcone fu bocciato come consigliere istruttore, bocciato come procuratore della Repubblica di Palermo, bocciato come membro al CSM e sono certo sarebbe stato bocciato anche come procuratore nazionale antimafia se non fosse stato assassinato prima. Eppure ogni anno lo Stato celebra Giovanni Falcone come se questo passato non fosse mai esistito: purtroppo questi fatti non si possono dimenticare! Non abbiamo bisogno di parole false, inutili e vuote o di presenze un giorno l’anno da parte delle istituzioni, quando poi nei fatti non si lotta la mafia né la corruzione ad essa strettamente correlata. Per rendere davvero omaggio alla vita e al valore di Giovanni Falcone c’è un solo modo: sconfiggere le mafie e ristabilire la supremazia dello Stato sul crimine organizzato e sulla corruzione dilagante. Chiudo questo articolo, con un ricordo personale poiché poco prima di morire rispose ad una mia lettera nella quale lo rimproveravo per aver abbandonato Palermo andando a Roma al Ministero di Grazia e Giustizia, con una frase confortante che mi ha profondamente segnato: “Continui a credere nelle giustizia, c’è tanto bisogno di giovani con nobili ideali”.
Chi vuole onorarlo non deve mollare la lotta alle mafie, dal singolo cittadino sino al Presidente della Repubblica, ognuno con i propri mezzi e le proprie forze, dalle piccole cose sino ai grandi sforzi che spettano allo Stato. Falcone diceva: “Non si può sconfiggere la mafia chiedendo l’eroismo di inermi cittadini, ma mettendo in campo tutte le forze migliori delle istituzioni”. Spero tanto che un giorno questo suo desiderio si realizzi.
Vincenzo Musacchio
Direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise