«La radice della Misericordia è nella rivelazione compiuta nel Cristo, l’Amore che arrivò a perdonare col sacrificio della Croce le iniquità compiute dal cuore dell’uomo. Solo facendo memoria di questa verità, le nostre opere di misericordia possono andare a segno e trasformare il male in bene, il buio in luce, le sconfitte in speranza. Proprio nel giorno della mia visita pastorale all’antichissima parrocchia di sant’Antonio Abate di Campobasso, vi raduno tutti, cari fratelli e sorelle, attorno al cuore di questo Giubileo Straordinario della Misericordia indetto dal Santo Padre. E’ sulla porta di questa chiesa, posta nel cuore della città e così vicina alla realtà rom della nostra comunità, che scopro che sul portale raffinato per arte e di bellezza senza tempo, vi è la dedica a due santi: Antonio e Leonardo. Entrambi, esempi straordinari di amore al Vangelo e punti di riferimento per vivere e realizzare una società più umana, nello spirito della gratuità e della solidarietà vera. Accanto alla data, 1572, c’è, infatti, riportato che Sant’Antonio è ricordato come il pellegrino di Dio, che cerca la verità, che segue la via segnata da una Misericordia che lo ha conquistato e inviato a propagare il messaggio cristiano. Sete di luce e di senso. Ricerca di una vita piena che oggi ci è necessaria come unica arma per superare la palude del male, e camminare nel pieno rispetto dell’umana dignità e nella gioia della nostra vocazione di servizio ai fratelli. San Leonardo, invece, è presentato come colui che libera i carcerati. In esso dobbiamo leggere l’anelito della libertà. Misericordia è l’avere a cuore che l’altro abbia una seconda opportunità nella vita, come via di riscatto e di riparazione. E’ l’atteggiamento di chi non punta il dito, ma porge la mano aperta del perdono e rialza chi ha sbagliato, perché in quel volto vede un fratello imprigionato da scelte false e ingannatrici e vuole che ne sia liberato. La misericordia è il mezzo per raggiungere questo fine. Papa Francesco nella sua visita pastorale qui in Molise ce l’ho ha ripetuto più volte: “Dio non si stanca mai di perdonare e chi s’incammina sulla scia della misericordia diventa profezia di un mondo nuovo”. I propositi della misericordia possono rivelarsi fragili ed inutili se manca l’imperativo : “Ama!”. E vedo che le due figure di Antonio e Leonardo sono il cuore stesso del messaggio che papa Francesco ci ha lanciato, ieri, alla vigila della Divina Misericordia, per l’indizione ufficiale di questo Giubileo che ci aiuta a scoprire che la vita è realmente come un volo. E non come una ruspa. Perché vi dico questo se non per attualizzare con forza e coraggio il cuore della Misericordia, in questo tempo di accanimento contro i più deboli, contro chi ancora non è accolto in questo respiro di benevolenza. Chiediamoci allora, considerando i recentissimi episodi sul fronte politico, se si è veramente indebolito il nostro sistema democratico. Se potessi, in questo momento, risponderei, non con analisi sociologiche, ma con una fotografia. La immagino scattata mentre due gabbiani volano sulle onde alte di una mareggiata che, per non esserne travolti, agitano quelle loro grandi ali con tutte le forze. E si spingono verso l’alto dove nessun pericolo può braccarle e farle precipitare. I due gabbiani vogliono essere archetipo e modello della Verità nella Libertà. Le due ali necessarie per tenere in equilibrio il mondo intero. Porto avanti con fervore questa tesi perché è qui il nodo attuale. Proprio nella mancata fusione di Verità e di Libertà. Come la prima è il mezzo, la seconda è il fine verso cui tutto tende. I due gabbiani non volano facendosi la guerra, ma si sostengono vicendevolmente, e l’uno indica all’altra la meta, la via d’uscita dal rischio delle onde così elevate. Si pongono l’uno accanto all’altra e quando l’uno fa fatica nella sua salita, l’altra non intralcia né lo abbandona dietro. Ma anzi, la più energica si fa dietro e spinge con la forza delle sue ali la corrente che è necessaria alle ali dell’altro gabbiano, più indebolito o impaurito. E’ questo stare accanto che permette di svolgere con coraggio, con più fiducia il volo. E che gioia, una volta scampata la minaccia, sapere di godere insieme del riparo, di farcela insieme. E’ il tesoro di chi vola insieme. La democrazia ha bisogno dell’uguaglianza. E l’uguaglianza s’impianta nell’identità di una società proprio come fondamento della stessa democrazia. Ma per “uguale” non s’intende solo chi è concittadino, ma ogni fratello, ogni abitante umano della terra che mi è corrispondente per natura e per dignità. La democrazia è perciò il crocevia d’incontro con l’uguaglianza, che orienta sempre ad essa. Una volta che si conosce ciò che conta veramente nella vita, è impossibile voltare le spalle a ciò che ci rende degni del nostro essere uguali, cioè un’unica famiglia che manda avanti la baracca di questo mondo con tutte le sue eclissi e le sue angosce. Questi principi sono criteri interni al nostro comune ideale democratico, che ha il compito di rendere tutto più sicuro, più garantito dalla bilancia equa dei diritti e dei doveri di ciascuno. Niente si deve sottrarre a questa misura. O altrimenti c’è il rischio che l’onda violenta del pregiudizio, del razzismo diventi una “ruspa” col mandato di radere al suolo lo spazio, di abbattere l’esistenza, l’abitazione altrui. Mettiamo fine al culto del fanatismo, specie nel nostro mondo politico italiano, dove esso impera inosservato o troppo osservato su canali che poi in tema di denuncia e di sostanza rimangono imparziali, svuotati, spettatori imbavagliati e ascoltatori passivi o indifferenti. La cultura altro non è che un processo collettivo in continuo affinamento, dove c’è trasformazione e sollecitudine a migliorare e a migliorarsi come persone, come cittadini e, ribadisco, principalmente, come fratelli. La voce profetica di san Giovanni Paolo II aveva preannunciato tutto questo smarrimento di senso e di rispetto che sta incombendo nella nostra società proprio in questi termini: “Il dramma della cultura attuale è la mancanza di interiorità, l’assenza di contemplazione. Senza interiorità la cultura è priva di contenuto, è come un corpo che non ha ancora trovato la sua anima”. Il frutto che dona una vita completa di valori e di azioni ispirati da essi, è sempre un frutto delizioso, che non avvelena nessuno. In questa domenica che Papa Wojtyla volle dedicare alla Divina Misericordia, e nella giubilante coincidenza che vede proprio in queste ore il nostro Santo Padre Francesco indire questo Anno Santo, con al centro la misericordia di Dio e anche la nostra, come fenomeno sociale da fondare e far prosperare nelle nostre relazioni e nei nostri atteggiamenti, pensiamo, allora, ai tre mandati che ci vengono affidati da questa nostra riflessioni. La Libertà è veramente se stessa nella misura in cui lascia trasparire la Verità; la democrazia non faccia a meno dell’inclusione; la misericordia sia quello stile di vita e di quotidianità che ha la capacità di aprire la finestra alla fratellanza e portare la luce negli angoli bui delle nostre coscienze. Là dove ancora offendiamo con le armi della sopraffazione e dell’arroganza. Là dove ci sentiamo ancora superiori e migliori degli altri. Là dove ancora manca la vera attenzione per il bene dell’altro e dominano invece le braccia chiuse. Siamo custodi, gli uni degli altri. E le ruspe siano usate non per abbattere i campi rom, piuttosto per spianare i rovi che si aggrovigliano carichi di spine attorno al cuore, quando esso cessa di amare e si cura soltanto di percuotere la libertà altrui nel nome della propria misera verità. Non abbiate paura di perdonare! Grande è il valore di quella vita che rifiorisce nel profumo della misericordia donata, accolta e restituita».
+p.GianCarlo Maria Bregantini