di Stefano Manocchio
Ho pensato non poco prima di scrivere questo articolo a quale potesse essere l’incipit; parlare del ‘grande’ Campobasso, quello della serie B, senza farmi travolgere dall’entusiasmo, del tipo di quello che da giovane tifoso rossoblù (l’altra squadra del cuore è il Cagliari e i colori sociali sono gli stessi) mi prese anima e corpo. Allora ho immaginato subito un inizio con la canzone ‘storica’ di quel periodo, cantata da Gino&Gina (“E la domenica a Campobasso…”), oppure dal coro che intonavamo sugli spalti (“Olio, petrolio, benzina e minerale, per batter il Campobasso ci vuol la Nazionale…”). E niente, l’idea sembrava essere sempre quella sbagliata. Poi è arrivata la soluzione semplice e scontata: ‘quel Campobasso’ aveva un simbolo sopra tutti, il presidente Tonino Molinari! Ecco che l’idea si è concretizzata: parlare del Campobasso…di Molinari. La nostra era stata fino a quel periodo una tranquilla città di provincia, la cui ubicazione era sconosciuta ai più; quante volte, da Roma in su mi sono sentito dire “Campobasso…vicino Napoli?” (non che sia lontano, ma non è esattamente la periferia di quella bella città).
Il primo successo di quella permanenza nella serie cadetta è stato di far conoscere in tutt’Italia la collocazione geografica del capoluogo di regione molisano; ad iniziare dai grandi campioni ‘costretti’ a scendere in questa landa desolata, pur portando le magliette della Juventus, Milan, Lazio e via discorrendo. A tal proposito un aneddoto, che in questi giorni mi è stato raccontato dalle figlie del ‘presidentissimo’, Barbara e Giovannella.
“ Si doveva giocare la partita Campobasso-Lazio – hanno detto- ( mi sono documentato: 30 gennaio 1983 20esima di campionato, storica vittoria del lupo, gol di Biagetti). Arrivarono i giocatori laziali in città, in pullman e scesi a ridosso del Municipio dissero spocchiosamente: ‘ma anvedi, c’hanno anche l’orologio a Campobasso’… naturalmente la Lazio perse”. Immagino che Barbara e Giovannella ricordino con una certa soddisfazione l’evento, soddisfazione peraltro condivisa abbondantemente dal sottoscritto e che si ripeteva ogni volta che una squadra titolata veniva ‘ a perdere’ dalle nostre parti. Essere tifosi è anche questo e mi par giusto.
Quello che successo allora è qualcosa che poi non si è ripetuto nello sport molisano, tranne, certamente in piccolo, nel basket di serie B (quello della Fiordilatte Delizia per intenderci) e che speriamo possa ripetersi adesso con la bella esperienza in A1 della Magnolia nel basket femminile: un’intera regione si mobilitava per andare a vedere la partita nel ‘catino’ dell’ex-Romagnoli e poi nel nuovissimo impianto di Selva Piana, trascinando anche le popolazioni dei paesi dei comuni a ridosso del Molise.
Molinari diede il cambio di passo dopo che un altro imprenditore storico, Gigino Falcione, aveva fatto assaporare alla città gli ‘odori’ dello sport semiprofessionistico; entrambi hanno investito risorse proprie e Molinari ne ha dispensate in misura indescrivibile, ricevendo oneri ed onori, ma anche grandi dispiaceri; poi, poiché la nostra città su alcune cose è ingenerosa, nel momento del bisogno al nostro presidente non sono arrivati aiuti né dalla politica, né soprattutto dall’imprenditoria locale, che al massimo ‘concedeva’ l’abbonamento in tribuna coperta numerata. Insomma Molinari ha creato il Campobasso e Molinari stesso poi ne ha dovuto vedere, immagino con grande sofferenza, la fine: tutti gli altri non pervenuti.
Ora io potrei scrivere una decina di articoli sui ricordi di quel periodo, raccontare il cuore battente quando, per uno strano caso, mi ritrovai a ridosso della ringhiera di bordo campo durante la partita con il Milan e Ruud Gullit mi passò davanti ad un paio di metri; oppure descrivere l’ansia nell’ascoltare la diretta radiofonica davanti il Bar Centrale (con diverse altre decine di persone) quando la squadra era in trasferta, o ancora la gioia nell’aspettare l’arrivo per il Corso del pullman con i giocatori la domenica sera, di ritorno dalle trasferte…e i fuochi d’artificio quando queste erano vincenti.
Chiudo malinconicamente, ma con grande senso di gratitudine: grazie presidente, credo che è quello che ti sarebbe piaciuto sentire dire in certi momenti.
Tutte le foto di questo articolo sono di proprietà di Barbara e Giovannella Molinari, che ringraziamo per averne concessa la pubblicazione