di Pietro Colagiovanni*
Il film (2011) è un incrocio tra documentario etnografico ed un (esile) racconto di una famiglia del Brasile rurale, nel Minais Gerais. Premiato e menzionato in quasi tutti film festival che si rispettino (Venezia, Toronto, Rotterdam) l’esordio al lungometraggio di questi due registi brasiliani francamente lascia in sospeso molti perchè.
La trama, dicevamo, è molto esile. Una donna di 81 anni, ancora piena di vita e di passione, si ritrova sola dopo la morte del marito. Ma vive questa morte come una liberazione. Considera, infatti, il marito una delusione, un alcolizzato che non ha mantenuto le promesse del loro amore di gioventù. Al suo fianco ha i nipoti che la sostengono e la accudiscono con amorevolezza.
In mezzo ci sono i colori, le musiche, le feste e la vita quotidiana dell’immensa zona rurale brasiliana, lambita sempre più dai ritmi della vita cittadina e inurbata. Questo è quanto. Non c’è quindi dramma, c’è solo evocazione, ricordi, frasi a metà e canti, affiancati da possibili flashback.
Ci sono visite mediche, autobus che portano in città, feste di paese, fuochi di artificio. Le immagini sono belle, a volte splendide, le musiche degne di una ricerca sul folklore e sui riti della ruralità, le parole forti e potenti. Alla fine, però, manca la struttura portante di qualsiasi film: il racconto.
Sostanzialmente Swirl non racconta nulla, almeno nulla di rilevante, e lo fa in oltre un’ora e mezza. Swirl descrive un ambiente, una comunità ma per fare ciò, ammenochè non si cambia impianto (vedi il giapponese Soda), la struttura filmica non è adatta, meglio il documentario classico. L’opera quindi è bella esteticamente ma è povera di struttura narrativa. Un film interessante ma privo di un vero equilibrio e pertanto non pienamente riuscito.
Voto: 2,5/5
*imprenditore, comunicatore, fondatore del gruppo Terminus
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