Pietro Colagiovanni*
Si tratta del primo film di Chloé Zhao, la regista nata a Pechino ma che vive e lavora negli Stati Uniti famosa per il suo Nomadland vincitore dell’ultimo Leone d’Oro al Festival di Venezia e del Golden Globe. E’ una regista indipendente (anche se sta girando un film di supereroi per la Marvel), con film che esplorano le frange più deboli e marginali della società. E’ il caso di Songs my brothers taught me del 2015, girato all’interno della riserva dei nativi americani di Pine Ridge, nel South Dakota con attori non professionisti. La storia è fondamentalmente quella del rapporto tra
John, un giovane nativo appena diplomato e la sua giovane sorella dodicenne Jashaun. John ha in animo di andar via per andare a vivere a Los Angeles con la sua fidanzata, che si trasferirà lì in un college. John per sbarcare il lunario fa contrabbando di alcolici (la cui vendita è vietata nella riserva) e sogna una vita diversa e migliore.
I due fratelli vivono insieme alla madre, che però è assente con problemi di alcol e una vita difficile alle spalle. Il padre è appena morto e al funerale si ritrovano con venticinque figli che il padre aveva avuto con altre mogli. Jashaun, bambina molto più matura della sua età, teme che con la partenza di John, un giovane attento e lavoratore, il suo futuro sarà quello di molti degli abitanti della riserva, persi tra droga, povertà e alcolismo. Il rapporto si rivelerà molto forte e porterà ad una riconsiderazione dei piani di John.
In mezzo a questa trama piuttosto scarna ci sono le persone che vivono insieme a John e Jashaun, la madre, i fratelli e i fratellastri, gli amici, la scuola, la fidanzata, le gang che gestiscono il contrabbando e che perseguiteranno John, le famiglie che vivono nella riserva. Il film è ben girato e la fotografia è molto curata e di grande impatto.
Anche gli attori pur non professionisti sono autentici, veri ed esprimono con forza i loro sentimenti, la loro socialità, le loro inquietudini, le loro difficoltà. Il film alla fine risulta essere un documentario rafforzato. Non è una docufiction perché di fiction alla fine c’è poco o niente. Si tratta invece di un documentario approfondito che non descrive un ambiente, una socialità complessa e con grandi difficoltà come quella dei nativi americani dall’esterno ma la fa vivere dall’interno, immerge lo spettatore nelle trame quotidiane di famiglie e persone della comunità di Pine Ridge.
La Zhao ha in questa capacità uno dei suoi più grandi punti di forza, che le ha consentito grandi riconoscimenti e grande apprezzamento della critica. In questo suo primo film, a differenza dei successivi The rider e Nomadland, la sceneggiatura minimalista e non particolarmente ricca di narrazione fa chiaramente prevalere la dimensione dell’osservazione antropologica su quella più puramente cinematografica. Un buon esordio, quindi, che nelle sue successive opere si trasformerà e si completerà in una compiuta narrazione filmica.
Voto 3,25/5
*imprenditore, giornalista, fondatore e amministratore del gruppo Terminus
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