di Pietro Colagiovanni*
Sylvia Chang è un’attrice, regista e sceneggiatrice di Taiwan. Il film, del 2017 è tutto ambientato in Cina, a metà tra zone urbanizzate e Cina rurale. La vicenda narra degli sforzi di una donna (la protagonista e regista Sylvia Chang) di riunire la tomba del padre, sepolto nel suo paese di origine in un villaggio, con quella della madre, recentemente scomparsa.
La storia è un prestesto per aprire diverse linee narrative. La prima è quella del contrasto tra società diverse, in una Cina che corre verso la modernizzazione. La tomba del padre è vegliata e difesa dalla prima moglie del defunto, una donna del suo villaggio che sposò il padre della protagonista in tenerà età, grazie ad un matrimonio combinato.
Il defunto se ne andò poco dopo in città e non fece più ritorno al villaggio, ma anzi sposò un’altra donna, la madre della protagonista. Sono due civiltà ormai completamente diverse, due mondi distanti secoli l’uno dall’altro benchè l’allontanamento sia frutto di pochi decenni, da quando Deng Xiaoping esortò i cinesi ad arricchirsi con le metodologie del capitalismo occidentale. La prima è la società contadina e povera della Cina millenaria, la seconda quella urbanizzata in cui vive la protagonista col marito ed una giovane figlia ed è indistinguibile da qualsiasi città moderna occidentale.
Si tratta di società in cui quello che cambia è il ruolo delle donne. Sottomesse e irrilevanti nel primo caso, protagoniste, indipendenti, autonome nel secondo. Poi si passa ai conflitti generazionali. La narrazione verte molto sul rapporto, spesso conflittuale tra mamma e figlia, con il marito a fare da stanza di compensazione. La prima pur emancipata ha difficoltà nel rapporto con la seconda, ormai nativa digitale, che lavora in una televisione e che ormai ha come putno di riferimento il mondo dei social e di internet. Poi si vira sui complessi rapporti tra le donne, con la prima moglie del villaggio rurale che cozza contro la figlia del secondo matrimonio del marito, con la giovane nipote a far da pontiere tra questo mondo tutto femminile.
Poi c’è la televisione, il mondo della comunicazione che irrompe, visto il lavoro della figlia in una vicenda privata, quasi a ricordarci che Maria De Filippi non è un caso isolato nel mondo.Infine ci sono i rapporti di amore e di passione, collante narrativo dell’opera. Si tratta, quindi, di un film lungo (due ore) con numerose stratificazioni e con diversi livelli interpretativi, tutti interessanti. Parliamo comunque di un buon film, utile anche per capire cos’è la Cina di oggi nel suo dispiegarsi quotidiano. Un buon film con alcune pecche (la trama fa un po’acqua, le storie non sempre sono perfettamente narrate, a volte il film perde smalto e ha delle fasi di stanca) ma certamente ben diretto e ben recitato da tutti i protagonisti. Un film dal notevole valore culturale e, oseremmo dire, antropologico che vale certamente la pena di guardare.
Voto: 3,5/5
*imprenditore, comunicatore, fondatore del gruppo Terminus
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