Pietro Colagiovanni *
E’un film del 2012, campione di incassi e di critica in tutto il mondo. A firmare l’opera è il famoso regista taiwanese Ang Lee, regista da Oscar (tra cui anche per La vita di Pi) e premi cinematografici, il regista de “I segreti di Brokeback Mountains” e “La tigre e il dragone”, per intenderci. La storia è quella di un lunghissimo errare nell”oceano di un ragazzo, Pi, solo su una scialuppa dopo un naufragio in cui ha visto morire tutta la sua famiglia. Solo ma non troppo.
Insieme a lui, in un’avventura che durerà oltre 200 giorni c’è una tigre del Bengala, anch’essa miracolosamente scampata alla morte in mare. Il padre di Pi infatti era proprietario di uno zoo in India e si stava trasferendo con tutta la famiglia ed alcuni animali in Canada, in cerca di miglior fortuna. Il film è tratto da un romanzo dello scrittore canadese Yann Martel e prima di approdare nelle mani di Ang Lee ha visto numerosi registi provare a cimentarsi con una storia non semplice, nonostante la sua apparente linearità narrativa.
Ang Lee però ha il tocco giusto per confrontarsi con questo racconto che è un lungo interrogarsi sulla religione, sul destino dell’uomo e sulla realtà che circonda la sua vita. La tecnica è quella del flashback. Un Pi adulto racconta la sua vita e la sua avventura ad uno scrittore in cerca di spunti creativi. Il padre di Pi è un razionalista (anzi e meglio, un positivista), e non crede che ci sia molto al di là della realtà sensibile. La vicenda di Pi, e l’incredibile narrazione del rapporto con la tigre ( di nome Robert Parker) mette in crisi questa confortante realtà materialista ed apre scenari molto distanti filosoficamente.
L’approdo in un isola popolata da suricati narra ancora meglio questa dialettica tra realismo e altro. L’isola di notte si trasforma in un unico corpo acido e corrosivo e i suricati si devono rifugiare sugli alberi per scampare a morte certa. Ang Lee, con la sua sensibilità orientale, con la sua cultura è perfetto nel narrarci questa vicenda religiosa e filosofica. La cultura asiatica è impregnata da sempre dai concetti di reincarnazione, di universo interconnesso in cui tutto è vita ed ogni cosa lungi dall’essere isolata fa parte di un unico, grande insieme vivente e pulsante. Si tratta di un grande film, girato in maniera magistrale e con una fotografia (anch’essa premiata con l’Oscar) assolutamente fantastica. Un film che si vede con la semplicità e la facilità di un racconto di avventure, alla “Sinbad il marinaio”, ma che invece è un’opera che vale più di cento trattati di religione.
Pi, dopo essere approdato in Messico, incontra in un letto di ospedale due ispettori dell’assicurazione che vogliono capire quanto accaduto alla nave affondata. Gli racconta allora la sua storia, con la tigra, i suricati e tutto il resto. Gli ispettori lo guardano e, straniti, gli chiedono se per caso potesse fornire loro una versione più comprensibile per una compagnia di assicurazione.
Pi capisce e sostituisce nel racconto gli animali con esseri umani e così gli ispettori se ne vanno finalmente soddisfatti. E soddisfatti ce ne andiamo anche noi dopo aver visto questo splendido film. Solo con un milione di dubbi e interrogativi in più nella mente.
Voto 4,25/5
*imprenditore, comunicatore, fondatore del gruppo Terminus
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