Il film della settimana/ “Inland Sea” di Kazuhiro Soda (Gia)

Pietro Colagiovanni*

In teoria è un documentario, in pratica è ben altro. “Inland sea” (2018) è il settimo “Observational film” di Kazuhiro Soda, regista giapponese trapiantato negli Stati Uniti. Soda si ispira, evidentemente, alla grande lezione di Dziga Vertov perchè anche lui è, sostanzialmente, un “uomo con la macchina da presa”. L’approccio è radicale: da solo con la telecamera, in lunghissime sequenze senza alcuna voce narrante Soda si reca in un piccolo paesino giapponese di pescatori, Ushimodo. Un paese che si sta spopolando, abitato solo da gente anziana.

La pesca artigianale non rende più: “prima il pesce costava tanto e le reti costavano poco- dice uno degli anziani protagonisti del film- oggi è il contrario”. Soda, aiutato solo dalla moglie Kikoyo Kashiwagi, piomba in questa realtà periferica e, telecamera alla mano, la racconta, fa parlare le persone che ci abitano, cerca di farcela vivere insieme a lui. Soda è al suo settimo documentario radicale e si mantiene fedele al suo decalogo, i principi in base al quale realizza i suoi film. Senza elencarli tutti le regole prevedono che il regista faccia tutto da solo, che non ci siano ricerche preventive, che il tutto si esaurisca in un unico ciclo ininterrotto di riprese, senza copioni, senza attori, senza nessun supporto musicale o testuale. Alla fine il risultato è sorprendente e paradossale.

Due ore di Inland Sea sono più avvincenti ed interessanti di un film costruito a tavolino con attori professionisti. Il segreto è l’interazione continua che Soda ha con i suoi involontari protagonisti. Il regista interagisce con loro e loro si incuriosiscono, si aprono, partecipano e lo fanno partecipare. La storia di Komiyana, anziana 85enne cui il servizi sociali hanno tolto l’unico figlio (“ladri, me l’hanno levato per soldi, ladri” inveisce la donna in un lungo, drammatico e commovente monologo) è l’esempio di come il documentario si trasforma poi in narrazione magistralmente interpretate dai suoi protagonisti.

E non potrebbe essere diversamente. Non c’è infatti la recitazione, non c’è il distacco tra attore e parte recitata, si tratta di storie vere. L’effetto che il cinema di Soda ti dà è sconvolgente. Inizi pensando ad un classico documentario su luoghi e su tradizioni che stanno per scomparire, con lo spirito dell’etnografo. Poi ti accorgi, col passare del tempo, che sei al centro di un vortice emotivo e narrativo in cui Soda (e la moglie) ti fanno calare con sensibilità e delicatezza, senza che tu neanche lo percepisca. Alla fine, quando arrivi ai saluti, sei dispiaciuto di andare via da una realtà che hai conosciuto in quelle due ore, allontanarti da persone cui hai cominciato a volere bene, perchè hai conosciuto le loro storie, le loro vite, il loro aspetto più intimo. Girato in un bianco e nero limpido e cristallino Inland Sea è un grandissimo film, un pezzo pregiato e sofisticato di arte cinematografica.

Voto: 4,5/5

*imprenditore, comunicatore, fondatore del gruppo Terminus

per commenti, recensioni o sollecitazioni e suggestioni cinematografiche potete contattarmi a colagiov@virgilio.it

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