Pietro Colagiovanni*
Tratto da un libro omonimo di grande successo di Jonas Jonasson il film (2013) è stato uno dei più grandi successi per incassi (50 milioni di dollari complessivi) del cinema svedese in patria e nel mondo. La vicenda è quella di Allan un arzillo vecchietto che, in occasione del suo centesimo compleanno decide di aprire la finestra della camera di riposo in cui vive e andarsene. Alla stazione, in cerca di una meta qualsiasi verso cui dirigersi, prende una valigia ad un minaccioso skinhead attardatosi nel bagno. La valigia è piena di soldi ed è destinata al pagament
o ad un trafficante internazionale (che vive a Bali, in Indonesia) di una fornitura di droga da parte della banda di cui lo skinhead fa parte. Da qui si scatena una sequenza di vicissitudini e il vecchietto Allan arruola con sé, nelle sue avventure/disavventure, altri personaggi incontrati per strada e perfino un elefante. Sulla vicenda principale si innescano poi frequenti flashback della vita passata di Allan, dinamitardo esperto che ha vissuto e incontrato alcuni dei principali personaggi del XX secolo, dal generalissimo Franco a Stalin, da Harry Truman a Ronald Reagan.
La trama, in questo film, ha senso sino ad un certo punto. Serve essenzialmente per tenere insieme spunti grotteschi, a volte grandguignol, dialoghi comici e riflessioni filosofiche, scenari da genere slapstick ( Benny Hill su tutti) richiami all’ingenuità di un Forrest Gump o allo Zelig di Woody Allen, quello che si affaccia dal balcone di San Pietro con il Papa. C’è anche l’innesto con la spy story da ridere come quella di Austin Powers il tutto shakerato e servito in salsa scandinava. Felix Herngren, d’altronde, è un regista poliedrico.
E’ anche un attore, uno scrittore, uno sceneggiatore (sua la sceneggiatura del film) ed un comico svedese, famoso per la serie tv Solsidan, di cui è coautore, cosceneggiatore e tra i protagonisti. Una poliedricità e un mix di ispirazioni che si ripropone in questo lungo film (quasi due ore) ma non sempre con successo. Molte volte manca il ritmo, spesso il grottesco non sorprende e l’improbabilità non sbalordisce ma resta semplicemente improbabile.
A volte, poi, l’uso autoironico di un clichè prelevato dalla storia cinematografia moderna non ingrana e resta solo un uso privo di ironia. L’interpretazione di Robert Gustaffson, nell’intero secolo di vita di Allan, è magistrale, riuscendo a invecchiare e ringiovanire in modo straordinario, alcune soluzioni comiche sono piacevoli e intelligenti, alcuni personaggi caricaturali sono ben delineati e funzionano. Nel complesso, però, resta preponderante la sensazione di un film un tantino sconclusionato.
Voto 2,5/5
*imprenditore, comunicatore, fondatore del gruppo Terminus
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