Il divieto di avvicinamento: caratteristiche della misura a tutela delle vittime di Stalking

Il nostro Ordinamento prevede degli strumenti diretti a limitare la libertà personale dell’indagato, già in fase d’indagini, al fine di privilegiare eventuali esigenze probatorie e di salvaguardare l’incolumità personale delle vittime di reato. Detti strumenti, assistiti comunque da garanzie giurisdizionali, sono le misure cautelari personali, ossia provvedimenti adottati dal Giudice in presenza di due requisiti: la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273, comma 1, c. p. p.) e la presenza delle esigenze cautelari (indicate dall’art. 274 c. p. p.).
Tra dette misure spicca da ultimo il “divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima”, di nuovo conio (intr. con d. l. 11/2009), tipicamente preposta alla repressione del reato di stalking. Tale strumento cautelare, previsto e disciplinato dall’art. 282 – ter c. p. p., ha ad oggetto una prescrizione fatta dal Giudice all’indiziato di non avvicinarsi a determinati luoghi che siano abitualmente frequentati dalla vittima, ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla stessa persona offesa. Nei casi di maggiore gravità, dette prescrizioni possono essere disposte anche a tutela dei prossimi congiunti, dei conviventi o di persone legate alla vittima da relazione affettiva. Tali provvedimenti possono essere, inoltre, integrati con l’ulteriore prescrizione rivolta all’indagato del divieto di comunicare, con qualsiasi mezzo, con la vittima.
Visto il contenuto lato della disposizione, la giurisprudenza, nel tempo, ha affidato al Giudice il potere di tracciare, caso per caso, i limiti da imporre all’indagato, tanto impedendogli di avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa, quanto di individuare la stessa persona offesa come oggetto del divieto, imponendo al reo di tenere una determinata distanza dalla vittima, ovunque si trovi.
Spetta quindi al Giudice “riempire la misura di contenuti adeguati agli obbiettivi da raggiungere e rendere la misura sufficientemente determinata, per evitare elusioni o problematiche applicative”.
A riprova di ciò, una recente Sentenza della Corte di Cassazione (n.° 5664 del 2015 – Sez. V) ha stabilito che allo “stalker” può essere persino vietato il semplice contatto visivo con la persona offesa.
Naturalmente, mentre nel primo caso l’indagato è in grado di conoscere a priori quali siano i luoghi abitualmente frequentati dalla vittima (che in genere vengono indicati nel provvedimento), nel secondo caso (divieto di avvicinarsi alla vittima ovunque si trovi) l’indagato potrebbe dolersi dell’impossibilità di conoscere gli spostamenti della controparte che, nella quotidianità, potrebbe trovarsi ovunque. Nonostante ciò, la ratio del divieto poggia sulla necessità di impedire, a prescindere dalle circostanze di tempo e di luogo, i pedinamenti, le molestie e le minacce che subiscono tipicamente le vittime di atti persecutori.
D’altro canto, vista detta imprevedibilità, sono irrilevanti le situazioni occasionali e le violazioni involontarie delle prescrizioni.
In conclusione, a distanza di qualche anno dall’introduzione di queste “nuove” misure cautelari, si può constatare da un lato, l’impegno dell’Ordinamento a contrastare i fenomeni di stalking (attuali e prodromici spesso a condotte ben più gravi), dall’altro, purtroppo, l’inefficacia di questi strumenti i quali, vista l’impossibilità di monitoraggi continui, vengono nella prassi frequentemente violati.
Avv. Silvio Tolesino

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