Il nostro sistema penale prevede quale requisito necessario della colpevolezza, ai fini dell’addebito di un fatto criminoso al suo autore, la cd. suitas, ossia la coscienza e volontà della condotta. In particolare l’articolo 42, comma 1, del codice penale, così recita: “Nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà…”.
In pratica, per poter rimproverare ad un individuo una condotta criminosa è necessario stabilire se vi sia stata effettivamente, da parte sua, coscienza e volontà nel consumarla; altrimenti, anche se il delitto si è perfezionato, non sarà addebitabile all’imputato alcuna responsabilità e lo stesso troverà conforto in una sentenza assolutoria piena.
La ratio di questo istituto risiede in una valutazione soggettiva di governabilità delle proprie azioni poiché, in effetti, non si può essere chiamati a rispondere per un delitto che, sebbene consumato, sia sfuggito alla propria signorìa.
Tra le cause di esclusione della suitas, che eliminano a monte l’attribuzione di una condotta criminosa, si possono annoverare la forza maggiore (forza esterna al soggetto agente che lo determini in modo inevitabile e irresistibile a tenere un comportamento criminoso), di cui esempio lampante è quello del pubblico ufficiale, accusato della mancata denuncia nell’immediatezza di un reato, il quale dimostri che l’inadempienza è derivata da un improvviso e imprevedibile malfunzionamento del sistema di trasmissione dati, e il costringimento fisico, secondo cui non è addebitabile all’autore un fatto criminoso derivante da costrizione altrui. Il caso per antonomasia è quello del soggetto che, subendo la forza fisica di un’altra persona, vibra dei colpi di pugnale letali o esplode colpi di arma da fuoco ai danni di un terzo, perché forzato dalla forza muscolare del coartatore.
Se questi primi esempi sono poco pragmatici, nell’esercizio effettivo della professione ci si trova più frequentemente davanti ad un altro motivo di esclusione della punibilità per assenza della suitas, ossia il malore improvviso. Spesso si assiste a sinistri stradali mortali, verificatisi a causa dell’insorgenza nel conducente di uno scompenso prevalentemente collegato ad un’alterazione organica o funzionale, che determina la perdita totale o parziale della coscienza, con conseguente impedimento o compromissione delle funzioni motorie.
In questi casi la rilevanza penale della condotta risulta esclusa e l’omicida viene prosciolto.
Naturalmente il vaglio deve essere molto attento, anche per i risvolti giuridicamente infausti che subirebbero i familiari della vittima nel caso di un proscioglimento ingiusto; ritengo quindi opportuno precisare che la suitas sopra menzionata viene meno e “scrimina” soltanto nel caso in cui si dimostri che il malore improvviso sia stato, inconfutabilmente, imprevedibile.
Nel caso di sinistro stradale mortale, quindi, l’effetto liberatorio non si avrebbe se si appurasse in dibattimento la prevedibilità del malore, ad esempio per le già precarie condizioni di salute del conducente (si pensi all’epilettico).
Avv. Silvio Tolesino
Il concetto di “suitas” nel diritto penale: quando l’atto criminoso non è rimproverabile al suo autore
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