’ordinanza della Corte di Cassazione n. 7318 del 14 marzo 2019, offre l’occasione per affrontare l’argomento relativo al potere del giudice di conoscere le materie strettamente correlate al contratto a tempo determinato: si tratta di una questione estremamente importante, alla luce delle novità introdotte dal D.L. n. 87/2018 con le restrizioni inerenti la tipologia contrattuale sia in termini di durata che di condizioni.
Nello specifico la condizione da apporre al contratto a termine non deve, assolutamente, ripetere quanto già previsto dalla norma ma deve essere una esplicitazione della stessa, atteso che la mancanza di quest’ultima fa sì che la stessa sia considerata generica e, quindi, inesistente.
La causale, come affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 1522 del 27 gennaio 2016, deve indicare le circostanze precise si da rendere evidente il legame tra la durata e le esigenze temporanee che giustificano l’impiego del lavoratore, questa sentenza ricalca alcune sentenze precedenti;
La causale, una volta apposta, non può essere modificata (Cass., 23 novembre 2016, n. 23864);
La causale, seppur legittima (vale anche per la somministrazione a termine), va raccordata con le mansioni effettivamente svolte dall’interessato, come ricorda la Cassazione con le sentenza n. 5372 del 7 marzo 2018;
Il rispetto formale della causale, non esonera, il datore di lavoro, in caso di contenzioso giudiziale, dal dover dimostrare la sussistenza delle ragioni che hanno determinato l’assunzione temporanea del lavoratore (Cass., n. 208 del 15 gennaio 2015);
L’introduzione della causale postula, come detto, una specifica e puntuale indicazione della esigenza oggettiva prospettata: tutto questo anche in un’ottica di correlazione con le mansioni per il quale il lavoratore è stato effettivamente assunto in modo da verificare che lo stesso sia effettivamente adibito ai compiti che si deducono dalle esigenze aziendali.
Tale principio si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 22188 del 12 settembre 2018 emanata con riferimento alle condizioni previste dal D.L.vo n. 368/2001 ma che acquista una propria rilevanza anche alla luce delle causali reintrodotte con il D.L. n. 87/2018.
La Cassazione, ribalta la sentenza della Corte di Appello di Roma, ritenendola un atto unilaterale ricettizioed ha affermato che; un lavoratore non può ottenere la conversione a tempo indeterminato, a meno che: non si sia dimesso da un contratto a termine del quale intenda far valere la nullità in giudizio o non provi che le dimissioni non risultino nulle per violenza, errore o dolo, la decisione riguarda l’impugnativa di più contratti a termine affetti da nullità il cui ultimo rapporto era stato caratterizzato da dimissioni del lavoratore.
Alfredo Magnifico