FP CGIL, Sanità: E’ troppo chiedere alle nostre istituzioni di conoscere il contenuto dell’integrazione pubblico/privato?

La lunga travagliata notte di giovedì scorso dei consiglieri molisani ha partorito il classico “topolino” che però nel corso delle ore mattutine ha prodotto un gran miracolo, quale? La sbalorditiva consapevolezza dei nostri decisori politici che nella nostra Regione non sono garantiti e assicurati i LEA per la cronica e annosa carenza di personale sanitario.
Penso che qualunque commento in merito apparirebbe superfluo. Interi anni, a partire dal 2005, mesi, settimane in cui questa OS ha lanciato il grido di allarme sulla situazione in cui versavano e tuttora versano i nostri ospedali, i nostri distretti, i nostri servizi sanitari: grido d’allarme rappresentato in tutte le sedi istituzionali a partire dalla stessa Azienda sanitaria.
Fiumi d’inchiostro, tavoli tematici, manifestazioni di protesta, reiterate richieste per incontri interistituzionali a vari livelli, comunicati stampa, audizioni, denunce alle autorità competenti, non sono servite a nulla. Certo, non siamo stati i soli a protestare contro i metodi adottati dalle Istituzioni nel trattare un tema così fondamentale, quale quello della riorganizzazione sanitaria, sapendo perfettamente che il progetto di riorganizzazione del settore andava a ricadere sulla carne viva non solo degli operatori ma anche del diritto alle cure, all’assistenza alla salute di tutti i cittadini  molisani.
In qualità di O.S. in quelle poche occasioni di confronto che ci sono state concesse abbiamo avuto modo di illustrare anche nei dettagli qual era e qual è la nostra proposta o alternativa a quella presentataci dalla istituzione commissariale; proposta di qualità che continueremo a portare all’attenzione dei vari attori responsabilmente impegnati a risolvere il dramma della riorganizzazione sanitaria in questo territorio.
La storia disastrata dei nostri conti in termini di debiti accumulati nel settore sanitario è fin troppo nota, tant’è che ancora adesso l’enormità di questi debiti non ci consente di uscire dal piano di rientro adottato ormai dal lontano 2007. Le strategie messe in atto fin ora dalla struttura commissariale, nonostante l’avvicendarsi di vari commissari e le risorse impegnate, non hanno prodotto risultati positivi; continue bocciature delle varie soluzioni presentate ai tavoli tecnici sono state l’unico risultato ottenuto cui ha fatto da eco un inarrestabile depauperamento dei servizi sanitari. Pur tuttavia gli enormi sacrifici e la straordinaria responsabilità dei tantissimi operatori professionali ha fatto si  che il sistema non crollasse definitivamente lasciando soli i cittadini nelle esigenze di risposte ai loro bisogni di salute. L’emorragia di oltre 440 professionisti della salute andati via per pensionamenti o motivi diversi è stata scaricata tutta sulle spalle di quelli rimasti in servizio che hanno dovuto fronteggiare e scongiurare, con abnorme carico lavorativo e stress psicologico, la chiusura dei vari ospedali e servizi sanitari, operando strenuamente in  regime di emergenza-urgenza nel salvare vite umane.
E ora? La nota grottesca del commissario nel richiedere un ulteriore sacrificio agli stessi operatori per coprire le difficoltà che tale situazione continua a determinare ,in assenza di una benché minima soluzione per porre fine alla carenza del personale, non convince per più ordini di ragioni.
Innanzitutto la riapertura delle selezioni finalizzata al reclutamento a termine sino al 31 ottobre 2016 rappresenta un inutile palliativo senza prospettive. Ma ancora, qualcuno può tuttora sottacere che la carenza di personale non è una questione che afferisce al solo personale medico? E gli infermieri, gli ausiliari, gli amministrativi? Restano confinati nelle reticenze di chi pensa di volere obliare il problema nell’illusione di farlo magicamente sparire?
E in questo carosello di scarica barile apprendiamo di una nota che Asrem, nelle persone del Direttore sanitario e amministrativo, avrebbero inviato al commissario, al sub commissario, al direttore generale, alla procura, ai ministeri economia e finanza, alla prefettura di cui non si trova traccia nei protocolli della regione Molise. Davvero una storia che se non fosse tragica, dato il contenuto della stessa (richiesta di sblocco del turn over del personale), sarebbe esilarante.
Purtroppo, qui c’è poco da scherzare. Stiamo parlando della salute di tutti i cittadini che si vedono ogni giorno sempre più  privati di un diritto costituzionalmente garantito … “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”… solo per non dimenticarlo…
E intanto è arrivato il nuovo DG in ASREM che dovrà prendere la guida dell’azienda sanitaria visti gli obiettivi riportati nel contratto che lunedì si appresta a firmare. Sarebbe interessante conoscere questi obiettivi perché gli stessi andranno ad incidere sulla intera organizzazione del lavoro di tutti gli operatori, rivoluzionando tutto l’assetto aziendale, per provare a porre rimedio alle molteplici disfunzioni organizzative di governance aziendale.
Tutto questo mentre sullo sfondo prende forma il disegno di privatizzazione della Sanità e di annientamento del sistema di democrazia partecipativa.
Decisioni assunte nottetempo dicono dell’abrogazione della Legge regionale sanitaria, sinora ostacolo ad un disegno politico fin troppo chiaro in cui la politica regionale è fedele specchio di quella nazionale, in barba all’art. 32 Cost..
E’ troppo chiedere alle nostre istituzioni di conoscere il contenuto dell’integrazione pubblico/privato? E’ troppo continuare a gridare la necessità di dialogo con le parti sociali, unico mezzo per garantire la stabilità delle scelte legislative anche regionali, tenendo insieme la coesione sociale? E’ troppo pensare che le disuguaglianze sociali non appartengono e non dovranno appartenere al nostro welfare?
Bene, noi continueremo a batterci affinché il termine prestazione resti coerente con il suo significato etimologico: praestatio ovvero garanzia, perché prestare assistenza sanitaria significa garantire ai cittadini la tutela del diritto alla salute, garanzia di omogeneità e uniformità che si traduce nello svolgimento di specifiche attività. Prestare assistenza sanitaria significa predisporre condizioni strutturali, organizzative ed economiche atte allo svolgimento di attività che abbiano come obbiettivo la promozione della salute. Esattamente quello che sin dalla Carta di Ottawa (ed eravamo al 1986) si poneva come primo passo fondamentale per costruire una politica pubblica per la salute.

Commenti Facebook