Emergenza Sud: necessario cambiare passo. L’elenco degli scempi perpetrati a danno del Mezzogiorno si arricchisce quotidianamente

Il sondaggio dell’Istituto demoscopico SWG di Trieste sull’EMERGENZA SUD, ha occupato per qualche giorno le pagine dei principali quotidiani nazionali, che a ridosso del Ferragosto hanno riempito gli spazi liberi, intervistando esperti, analisti e rappresentanti istituzionali.  L’approccio delle lobby del Nord che controllano sia le banche che la stampa italiana, enfatizza le risposte radicali dei meridionali più per caricare di folclore la rabbia del Sud che non per  alimentare un confronto innovativo sull’impellente necessità di mutare le politiche di sviluppo per il Mezzogiorno. In pochi percepiscono lo stato di malessere che rischia di accentuarsi progressivamente a causa di una sterile narrazione di classi dirigenti che ostentano forza verso i deboli e diventano afone verso Roma. La politica non è più in grado di intercettare la domanda di cambiamento, né riesce a essere credibile agli occhi di cittadini disillusi, disgustati e arrabbiati, che non sono più disponibili ad accettare passivamente il degrado delle infrastrutture, l’inefficienza dei servizi pubblici e la cronica carenza di lavoro. Ciò che assilla, sconcerta e rende veemente la protesta dei meridionali, è assistere alla lenta agonia di intere comunità locali, dove non nascono più bambini e si invecchia in attesa di una telefonata di figli lontani, che hanno trovato lavoro lontano e che hanno messo su famiglia in luoghi lontani, sempre più lontani. Per chi ha conosciuto l’asprezza di atavici sacrifici per studiare e lavorare nella propria terra, è problematico rassegnarsi ad una sconfitta storica. I meridionali si sono resi conto che si è rotto il compromesso col Nord, con lo sviluppo produttivo di un’economia competitiva collocata nelle aree del Centro-Nord ed un Mezzogiorno in cui i livelli di salario e di consumi reggevano su un rigonfiamento della spesa pubblica assistita. La stretta monetaria imposta dall’Unione Europea ha obbligato l’Italia a tagliare sprechi, uffici pubblici e assistenza, per diminuire le uscite dello Stato e alleggerire gli oneri che gravano sulle imprese. Una ricetta perfetta per il sistema produttivo del Centro-Nord ma non per un Sud che vive ancora di binario unico, di strade provinciali dissestate, senza banda larga e con un tasso di evasione fiscale, elusione, lavoro nero ed illegalità, tollerate da una fitta rete di collusioni su cui si reggono le classi dirigenti locali. L’elenco degli scempi perpetrati a danno del Mezzogiorno si arricchisce quotidianamente di nuovi esempi nefasti. Del famoso Piano Junker sulla crescita l’Italia ha beneficiato con diverse decine di Progetti a valore sul FEIS ( Fondo Europeo Investimenti Strategici ) ma come riconosce Gianni Pittella, capogruppo dei socialisti e democratici al Parlamento Europeo, non ce n’è nessuno del Sud. Contestualmente lo Stato ha rinunciato ad un Piano di Sviluppo per il Mezzogiorno e ha diminuito ulteriormente i fondi complessivi con uno spezzatino di 16  Patti per il Sud, autoreferenziali e circoscritti. Il taglio draconiano sulla sanità, l’innalzamento dei requisiti per andare in pensione, ed  i tagli sugli ammortizzatori sociali e sui servizi pubblici, hanno prodotto penalizzazioni più macroscopiche nel meridione. Inutile negare che parte di un’economia assistita che ruotava intorno alle Province, alle Comunità Montane, ad Enti Sub-regionali e alla realizzazione di opere pubbliche, consentiva a decine di migliaia di persone di percepire un reddito. L’errore più grave dello Stato nell’ultimo trentennio è stato quello di fare parti uguali tra diseguali, applicando le stesse ricette economiche e le stesse politiche al Nord e al Sud. A nulla servirà arroccarsi nell’esercizio del potere organizzando le clientele e cooptando nel circuito di governo bianchi, neri, rossi, verdi e gialli. Senza uno scatto di dignità e di responsabilità non si andrà lontano. O per meglio dire il Sud resterà fermo ed i meridionali saranno costretti per vivere e lavorare, ad andare sempre più lontano, come accade sistematicamente dall’Unità d’Italia in poi.
Michele Petraroia

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