Le elezioni regionali di primavera sono alle porte e fervono iniziative tendenti a posizionarsi o riposizionarsi all’interno degli schieramenti politici e fuori di essi. Siccome è quasi certo che le elezioni regionali si terranno contestualmente a quelle politiche, tutte le iniziative, sulle quali non entrerò nel merito in questo intervento anche se mi riservo di farlo successivamente, vedono in qualche modo coinvolti o protagonisti i parlamentari, oltre che i consiglieri regionali e le forze politiche.
Non trovo nulla di scandaloso se nella battaglia politica si sgomita anche per conquistare o riconquistare spazi che si sono persi o sono diventati più angusti. L’importante è farlo non finalizzando le iniziative unicamente alla riconquista delle posizioni perse ma ammettendo pubblicamente i propri errori e, magari, mettendo nel conto che il processo che si intende avviare per essere credibile dovrà comportare la perdita di posizioni e rendite personali. Gli errori politici vanno pagati da chi li ha commessi.
In questo momento mi preme affrontare un tema che nessuno, almeno fino a questo momento, ha avuto il coraggio di mettere al centro del dibattito, ritenendolo un tabù. Eppure è, lo si voglia o meno, sul tappeto e merita una riflessione seria ed un dibattito aperto e profondo: la questione dell’autonomia della Regione Molise. L’intero ceto politico, o chi vi aspira a farne parte, lo ritiene un postulato, ma non lo è. Ne sono una prova le innumerevoli iniziative, anche legislative, che sono state sottoposte all’attenzione del Parlamento durante questa legislatura. Non vederle, esorcizzarle, non discuterne è un crimine, oltre che un errore che potrebbe danneggiare i molisani. Qualcuno ricorda la proposta Morassut che prevede lo smembramento del Molise? Possiamo continuare a fare come gli struzzi nascondendo la testa sotto la sabbia? Abbiamo il dovere di discuterne proprio per non farci trovare impreparati quando questi argomenti saranno affrontati dai non molisani. .
A quarantasette anni dalla nascita dei consigli regionali abbiamo la possibilità ed il dovere di fare un bilancio della esperienza regionalistica. Personalmente non ho dubbi sul fatto che questa esperienza ed articolazione dello Stato presenta luci ed ombre. Più ombre che luci. In Molise le lampade si sono spente da molto tempo perché invece di considerare il riconoscimento dell’agognata autonomia il punto di partenza per attivare un processo di sviluppo autopropulsivo, centrato sulle vocazioni di questo territorio e sulle attitudini dei molisani, la conquista è stata considerata il punto di arrivo. Cosicché, dopo un iniziale fervore legislativo, progettuale, programmatico ed organizzativo, dovuto anche alle qualità della rappresentanza istituzionale, ha preso il sopravvento un ceto politico, a dir poco inadeguato, che ha fatto della occupazione del potere, quando non addirittura lo strumento della propria occupazione, l’unica ragione del proprio impegno. E la adombrata riforma elettorale, che prevederebbe l’articolazione in tre collegi, trasformerebbe il Consiglio regionale in una assemblea di condominio.
Il Molise è la Regione nella quale vi è la più alta pressione fiscale e la più bassa qualità dei servizi erogati ai cittadini.
Siamo perciò gradualmente arrivati non solo alla dicotomia tra gli interessi dei molisani e quelli della Regione ma alla contrapposizione tra questi interessi. Una riprova lampante è fornita ultimamente dalla approvazione con legge dello Stato dei provvedimenti della riorganizzazione della sanità molisana avvenuta nell’ignavia del Consiglio regionale e dello stesso popolo molisano, che ha la sua parte di responsabilità se riesce ad esprimere questo tipo di rappresentanza.
La “identità di popolo”, tutta da dimostrare, non è di per sé sufficiente a garantire l’autonomia regionale. Come non lo è l’idea di “allargare i confini” regionali “alla Daunia ed il Sannio beneventano” (l’antico Sannio).
Occorre fare scelte, in alcuni casi dolorose e radicali, senza le quali l’autonomia regionale e la stessa prospettiva di un popolo di poter progettare la presenza ed il proprio futuro in questo territorio corrono un pericolo più che concreto che incomprensibilmente e colpevolmente gli schieramenti politici hanno sottovalutato e ancora sottovalutano o tendono a rimuovere.
La drammatica crisi che stiamo attraversando, strutturale non congiunturale, e l’aumento della disoccupazione soprattutto “intellettuale”, con i nostri migliori “cervelli” costretti a “fare le valige”, rischiano persino di precludere la possibilità di aprire ogni forma di “dibattito culturale” e di “progetto globale di riscatto”.
In un sistema economico e sociale come quello attuale l’autonomia deve fare i conti inevitabilmente con l’economia, con la capacità di mettere in moto uno sviluppo autopropulsivo, con la capacità di un sostanziale autofinanziamento.
Almeno fino ad oggi, abbiamo dimostrato la incapacità di prendere atto del livello della sfida che abbiamo davanti, che chiama tutti a fare la propria parte, mentre continuiamo a sperperare preziose risorse per soddisfare gli interessi di cerchie sempre più ristrette di amici che, invece, andrebbero destinate allo sviluppo e alla creazione di servizi di qualità.
Nel supremo interesse dei molisani, forse l’invalidamento dei tratti distintivi tra gli schieramenti, che oggi molti di coloro che si candidano a ripristinare hanno colpevolmente provocato, chiama su un tema come quello della conservazione dell’autonomia, o di un suo ordinato e razionale superamento, ad una corale assunzione di responsabilità attraverso la individuazione di una potenziale rappresentanza istituzionale dotata di capacità, competenze, onestà intellettuale, libera da logiche di potere e interessi di bottega e, forse, anche di schieramento.
Domenico Di Lisa