“Discarica Zero”, è questo l’obiettivo prefissato dall’Europa e per cui l’Italia non può – e non deve – esimersi dal fare la sua parte, soprattutto perché siamo indietro, molto!
Il contenimento nella produzione dei rifiuti, nonché sostenere correttamente e con convinzione il processo di industrializzazione nella gestione del servizio, rappresentano due punti fondamentali per il raggiungimento dell’obiettivo.
Quello che appare a noi profani dell’argomento è il sovradimensionamento della dotazione impiantistica presente in alcuni territori e che, quindi, diventano più virtuosi, sistemi obsoleti ed inadatti in altri ed assolutamente inesistente in altre zone dove, sotto una parvenza di servizio, si celano inghippi, poteri dalla faccia diversa, usi strumentali degli appalti e capitolati poco chiari.
Il dato nazionale 2014 di produzione di rifiuti solidi urbani pro-capite è di 500 kg. Numeri elevati e spaventosi.
Il 34% di quanto prodotto viene smaltito in discarica, mentre il dato europeo è del 28%; se poi ci vogliamo fare del “male” scioriniamo anche quelli di alcuni paesi più “civilizzati”: 1,4% Germania e Olanda, 1,3% Danimarca, 1% Belgio e 0,6% Svezia.
In compenso, se parliamo di rifiuti pre-consumo, cioè scarti industriali, siamo tra i primi in tema di riciclo con il 75% , rispetto al 46% del resto d’Europa. Non male, ma non basta.
Se vogliamo competere con gli altri paese stranieri, ma soprattutto difendere il nostro ambiente ed il futuro delle prossime generazioni, è necessario valorizzare lo scarto (cioè il rifiuto) affinché diventi risorsa.
Per fare ciò si ha la necessità di una strategia nazionale, certezza sulle norme dedicate, dotazione infrastrutturale adeguata e, non ultimo, controlli serrati onde evitare infiltrazioni malavitose, visto che notoriamente nei rifiuti – è il caso di dire – ci sguazzano!
Veramente aggiungerei ancora un punto: l’influenza politica.
Si, perché quando si tratta di predisporre bandi di gara (ammesso che ve ne siano, in presenza di proroghe su proroghe) non si ragiona in termini di servizi alla collettività, ma di quale tornaconto politico possa esserci. Non nascondiamoci dietro un dito, come si suol dire, perché è palese e chiaro a tutti che ogni cosa in Italia funziona così.
Anche il nostro Molise non si discosta da quanto sopra e quanto accade in giro, di fatto, conferma timori e problematiche.
Prendiamo Campomarino e l’Unione dei Comuni Basso Biferno, dove l’appalto è scaduto da parecchio tempo (settembre 2015) e si agisce in regime di proroga, peraltro – da quanto mi risulta, ma potrei sbagliare – anch’essa fuori termine visto che l’appalto del 2010 ne prevedeva esclusivamente solo una e per non più di sei mesi. Qui siamo già ad un anno e la luce non si vede.
Come non si discute nei vari Consigli comunali nemmeno delle esigenze che ogni singolo ente facente capo all’Unione ha in tema di differenziata. È impensabile che Campomarino possa essere paragonato, per esempio, a San Giacomo degli Schiavoni.
Le nostre esigenze sono molto diverse, sia in inverno, ma soprattutto d’estate dove si arriva a sfiorare una popolazione che doppia addirittura Termoli. Insomma esigenze diverse e problematiche irrisolte che proseguono ad essere presenti con uno scarica barile tra comune/unione/comune. E intanto la differenziata langue, il nuovo appalto è silente e chi ci deve lavorare tergiversa in attesa di cosa?
Ho avuto modo più volte di fare presente che, viste le peculiarità specifiche di Campomarino, sarebbe stato meglio uscire dall’Unione; abbiamo territorio ampio ed in abbondanza per ritirare e gestire da soli la differenziata, rivendendo in proprio quanto possibile e dare sia un servizio migliore ai cittadini che oggi non hanno.
Mini discariche presenti un po’ ovunque e la totale mancanza di controllo rispetto ai residenti (e non) che non provvedono, oltre che un ritorno in termini economici per il comune e ristoro sulla bolletta per tutti.
Insomma, sarebbe bello che il business fosse fatto, una volta tanto, a favore della gente e non di pochi “eletti”.
Vincesco Cordisco