Il saluto che l’altro giorno Papa Francesco ha rivolto ai rappresentanti della Coldiretti, in udienza per i 70 anni di vita di quest’organizzazione che ha segnato la politica agricola di questo nostro Paese, è un documento da diffondere, non solo in tutte le parrocchie ma anche nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, per la forza della verità che il messaggio esprime.
Un documento che dovrebbero far proprio, insieme con la Coldiretti, tutte le altre organizzazioni rappresentanti del mondo contadino, sia dei produttori singoli sia associati, e renderlo occasione d’incontro e di approfondimento per alzare barriere contro i venti di crisi che continuano a soffiare sulle campagne e, così, rimboccarsi le maniche per tracciare nuovi percorsi che portano a segnare i traguardi che si vogliono raggiungere domani.
Un documento che mette in grande evidenza il vuoto culturale e politico, che dura da oltre cinquant’anni in questo nostro Paese, più che in altri, abbagliato, ancora oggi, da uno sviluppo tutto all’insegna dello spreco, in primo luogo del territorio e, con esso, del suolo fertile, cioè della fonte della principale energia per l’uomo, il cibo.
Altro che pale eoliche, biomasse, biogas, inceneritori, trivellazioni, altre autostrade e altri palazzi, allevamenti superintensivi! Cioè quell’insieme di opere e manufatti che servono, in cambio di un arricchimento esagerato di speculatori e criminalità organizzata, a rubare sempre più terreno fertile, occupazione, domani alle nuove generazioni. Papa Francesco, pensando a queste attività e alla sempre più diffusa sottrazione di terra all’agricoltura, ritorna a parlare del dio denaro per dire “E’ come di quelle persone che non hanno sentimenti, che vendono la famiglia, vendono la madre, ma qui è la tentazione di vendere la madre terra”.
Ed ecco che, dopo aver rilevato la centralità dell’agricoltura “Davvero non c’è umanità senza coltivazione della terra; non c’è vita buona senza il cibo che essa produce per gli uomini e le donne di ogni continente”, afferma un’altra centralità che è quella dei protagonisti, cioè “L’opera di quanti coltivano la terra, dedicando generosamente tempo ed energie, si presenta come una vera e propria vocazione. Essa merita di venire riconosciuta e adeguatamente valorizzata, anche nelle concrete scelte politiche ed economiche”.
Scelte politiche, purtroppo, che, nel segno della continuità con un passato di sessanta anni e più, caratterizzato da un processo che, di fatto, ha messo da parte l’agricoltura dando spazio a un assistenzialismo che ha impoverito i coltivatori, trasformandoli in schiavi delle multinazionali.
La verità è che neanche la pesante crisi economica è riuscita a far capire ai governi di questo Paese, in particolare all’attuale, il valore del territorio e la centralità della sua agricoltura, fondamentale per dare un perno alla ruota dell’economia se si vuole che giri, e giri nel senso giusto, lungo il percorso che porta, invece di chiudere, al domani.
Ed è così che, oggi più che mai, il rischio è la sopravvivenza stessa dell’agricoltura contadina, la sola che è in grado di esprimere il territorio italiano nelle sue molteplici variazioni e di produrre cibo di qualità, quello che ha nell’origine la sua ragione di essere tale.
Papa Francesco si pone e pone degli interrogativi “La sfida è: come realizzare un’agricoltura a basso impatto ambientale? Come fare in modo che il nostro coltivare la terra sia al tempo stesso