Quando un sindaco confonde artatamente le denunce contro la mala amministrazione pubblica con le querele che egli stesso sporge contro l’opposizione, significa che compie un atto di mistificazione e di rappresaglia. I cittadini di questo ne sono consapevoli, ovunque accada!
Ma nei piccoli comuni, laddove cioè si ha conoscenza diretta della cifra identitaria e delle espressioni politico-culturali dei soggetti, un comportamento del genere, se elevato a contrastato metodo amministrativo, rischia di sostituire o solo di condizionare tragicamente anche i compiti fondamentali della pubblica amministrazione che riguardano le proprie funzioni istituzionali e le risposte di interesse sociale.
Quando un sindaco dichiara che un consigliere comunale, ancorché di opposizione, nell’esercizio delle sue funzioni rappresenta “un peso per la comunità”, sferra l’ennesimo e rozzo attacco personale (cioè al sottoscritto), ferisce la rappresentanza democratica e offende i cittadini in quanto detentori ed espressione della sovranità popolare.
Giù la maschera, dunque!
La sovranità popolare costituisce invarianza di valori e strumento che non può piegarsi agli umori delle maggioranze e, men che meno, a quelli dei podestà stravaganti.
Con il suo esercizio democratico vi è chi è chiamato legittimamente a svolgere funzioni di governo e chi, altrettanto legittimamente, a svolgere funzioni di opposizione, di controllo e finanche di resistenza o di denuncia quando il potere, a suo giudizio, viola i principi e le leggi dello stato.
Il governo che ostacola o schernisce tutto ciò vuol dire che sceglie l’esercizio del potere dispotico allo stesso modo come “colpevolizzando gli altri” nasconde i suoi limiti e “facendo uso della superbia” copre la sua inadeguatezza.
La storia politica, specie quella contemporanea, narra come questi comportamenti, contraddistinti spesso anche da autoreferenzialità arrogante, sono destinati ad infrangersi, non appena si rivelano nella loro effettiva dimensione, proprio contro gli scogli della sovranità popolare quando essa ti presenta il conto.
E ciò accade in modo più veloce, chissà perché, quando i protagonisti coincidono anche con i cultori del trasformismo e dell’arrivismo politico.
Per fortuna la nostra comunità ha anticorpi efficaci e sa uscire da questo tunnel.
Tali e tanti sono i segnali che trapelano in questo senso.
I più rassicuranti, secondo una lettura estensiva ma per alcuni aspetti ammissibile, sono quelli che sono transitati nelle urne domenica 4 dicembre scorso.
Si tratta di segnali orientati alla riconquista di una dimensione autentica, di una cittadinanza attiva che non vuole farsi imbavagliare, che vuole cambiare con una agenda di impegni che contiene “la carne viva” dei problemi e dei bisogni di tutti i cittadini.
Le comunità contemporanee, lo testimoniano sia le rispettive storie che i processi di socializzazione globali, non sono affatto masse inerte disposte a farsi sottomettere in eterno, nonostante il dramma della crisi di lavoro abbia finora ingenerato paura persino nell’esercizio della protesta democratica.
Esse sono un insieme di persone ciascuna delle quali vuole formarsi una propria opinione e una propria convinzione sulla cosa pubblica, con la libertà di esprimere la propria sensibilità politica, di farla valere in maniera confacente al bene comune e col pensiero volto a migliorare le proprie condizioni.
Qui, da noi, anche nel segno della sostenibilità e della solidarietà.
E la nostra comunità, perciò, come tante se non più di altre, vuole tornare a raccontare una trama sociale e culturale ricca di contenuti e di prospettive, come è accaduto quando l’amministrazione pubblica ha saputo essere davvero cuore pulsante della vita civile, nel rispetto della dignità della persona, dei principi di onestà e legalità e con la determinazione di tirarsi fuori da questa palude il prima possibile.
NICOLA D’ASCANIO
Capogruppo MonteneroVince