di Stefano Manocchio*
Siamo cresciuti con il mito dei grandi ristoranti, intesi tali anche per dimensioni; dagli alberghi a quattro o cinque stelle con delle ‘room’ anche con 20 o 30 tavoli, piene di stucchi, specchi e grandi lampadari di cristallo, ai saloni ‘autonomi’ di non minore dimensione, spesso collocati nei posti più belli, fino alle grandi cucine ‘gourmet’ e di cucina internazionale dei maggiori villaggi vacanze. In sostanza tutto doveva emanare bellezza, lusso e dimensione, per far credere che fosse automatico il binomio con l’alta cucina, possibilmente stellata.
Questo trend con gli anni è cambiato, ma non ovunque, e man mano si sono affacciate sulla scena, anche delle cucine stellate, strutture, sempre eleganti, casomai arredate con mobili di design e con cucine industriali modernissime e linde, ma di minori dimensioni. Gli chef anche di grido hanno iniziato a preferire locali accoglienti e raccolti, con 30 o 40 portate massime a sala, sobrie nello stile e non necessariamente con vista su un golfo o un rifugio di montagna, ma spesso nei centri storici, anche raggiungibili attraverso vie strette.
E’ una dimensione che dà al cliente l’idea della bontà di casa, anche se proprio l’utenza numericamente ridotta comporta costi elevanti, in genere non meno di 150 o 200 euro a testa per il pranzo o la cena. Il bello è anche ‘minimal’ e la buona cucina si ricava anche negli scrigni.
LA RICETTA DELLA SETTIMANA. Entratura di polipo e patate. Pulire il polipo privandolo delle interiora, occhi e becco, lavarlo e metterlo in cottura, in una pentola con coperchio e abbondante acqua, sale e pepe, per un’ora; lavare e lessare le patate. Una volta cotto il polpo depezzarlo e metterlo in una ciotola, con un’emulsione di succo di limone, olio, sale, trito di prezzemolo e pepe macinato. Le patate cotte andranno sbucciate e tagliate a fette grossolane e messe in un piatto di portata, unite con il polpo condito con l’emulsione e con foglie di prezzemolo.
*giornalista appassionato di cucina