Come noto, si è svolto stamane il Consiglio Comunale di Campobasso, con l’ordine del giorno monotematico riguardo la sanità e le iniziative che la Regione porrà in essere al fine di rientrare nei parametri della spesa dettati dai tavoli ministeriali. Dopo Isernia, dunque, il Governatore Frattura, unitamente al DG Asrem Pirazzoli, ha incontrato i rappresentati dei cittadini del capoluogo per ascoltare le loro istanze e per far conoscere nello specifico cosa potrebbe accadere al nosocomio cittadino, il Cardarelli. Di seguito il lungo e articolato intervento che i Consiglieri del Movimento 5 Stelle, richiedenti della seduta monotematica, hanno letto in aula:
Cittadini e colleghi,
il Consiglio comunale di oggi temiamo serva solo a fare il punto della situazione, senza alcuna speranza che possa smuovere anche solo di un metro questo transatlantico alla deriva che è la sanità regionale.
Purtroppo, nelle acque agitate dal vento Balduzzi, non potremo uscirne indenni se chi conduce la nave è Schettino”. Ma badate bene, il MoVimento 5 stelle in Molise è arrivato a questa conclusione dopo due anni di arroganza e bugie perché in fondo si sperava che l’esperienza negativa vissuta con l’ex Presidente Iorio potesse essere d’insegnamento e potesse ispirare una conduzione della sanità più attenta alle esigenze dei molisani. Illusi!
Non solo la situazione non è cambiata ma è addirittura peggiorata, con la minaccia seria di vedersi scippare il diritto alla salute e che questa regione possa diventare esperimento di gestione pubblico/privato della sanità.
Ma andiamo con ordine cercando di fare chiarezza rispetto alle posizioni assunte negli ultimi due anni dalla politica regionale, quella normalmente deputata all’organizzazione sanitaria. Diciamo normalmente perché, come voi tutti ben sapete, il Molise è commissariato per cui il Consiglio regionale è del tutto esautorato e chi decide è solo la struttura commissariale di cui il Presidente Frattura è membro.
Sono anni che ascoltiamo prima Iorio e poi Frattura accusare i tecnici romani di essere solo dei “burocrati” cattivoni, ma il vero motivo di tali accuse qualcuno se l’è mai chiesto? Non sarà perché i due politici non hanno fatto nulla per rientrare dall’esorbitante debito sanitario?
Tale debito ammonta a circa 428 milioni di euro, di cui ben 178 di trasferimenti che negli anni passati la Regione non ha girato all’Asrem, sottraendoli di fatto al diritto alla salute e allocandoli dio solo sa dove. Anzi no, lo sa anche Iorio.
Per comprendere a fondo la dimensione del problema si sappia che la regione Molise “vanta” il debito sanitario pro capite più alto e i tempi di pagamento più lunghi d’Italia.
Del resto nell’ultima relazione del Tavolo Tecnico ministeriale si legge chiaro: “la Regione prima e le gestioni commissariali poi, compresa quella attuale, non hanno attuato gli interventi del Piano di Rientro, aggravando la situazione deficitaria presente, al punto che, oggi, la Regione Molise è l’unica regione sottoposta a piano di rientro che non ha fatto registrare inversioni di tendenza nella gestione della sanità regionale, sia con riferimento agli aspetti economico/finanziari, sia con riferimento alla organizzazione della rete di offerta assistenziale”.
Non a caso i Ministeri insistono sulla richiesta del commissariamento di Frattura.
Compreso ora perché far passare il messaggio che i tecnici romani sono distanti dalle esigenze del territorio? Perché è sempre la solita storia: siccome si è incapaci di argomentare e di dare risposte serie ai problemi bisogna delegittimare gli interlocutori.
Allo stesso modo di come il Presidente Frattura ha fatto spesso parlando del MoVimento 5 Stelle. Ci ha chiamati spesso populisti, non ultima l’occasione del monotematico tenutosi a Termoli. Vede, caro Presidente, crede davvero che ci sia ancora qualcuno disposto a crederle? Come fa ad accusare altri di populismo se lei stesso in periodo elettorale andava firmando promesse che poi si sono rivelate delle assolute fandonie? Noi, a differenza sua, giravamo i territori raccontando e spiegando le nostre soluzioni che prevedevano Hub e Spoke tra Campobasso e Termoli/Isernia, ospedale di montagna per Agnone e riconversione dei due nosocomi di Venafro e Larino.
La stessa ricetta che, guardacaso, solo qualche mese dopo un professionista serio ha messo nero su bianco in una proposta di Piano Operativo. Stiamo parlando, lei lo sa, del Dott. Carmine Ruta. Colui che non ha perso molto tempo prima di “cacciare a calci” con il Decreto Commissariale n. 27 del 26 agosto 2013 perché, dimensionando il sistema sanitario regionale alle esigenze dei molisani, riduceva decisamente il contributo del privato. Sia Neuromed che Fondazione Giovanni Paolo II ne uscivano con le ossa rotte.
Signori colleghi e signori cittadini, questa è storia. Il Tavolo Tecnico nell’estate del 2013 aveva finalmente apprezzato un documento presentato dalla Regione Molise, un Piano Operativo che dava risposte valide agli operatori, ai Ministeri ma, soprattutto, al territorio, riuscendo a garantire quel diritto alla salute costituzionalmente riconosciuto attraverso un’offerta pubblica. Nella relazione del 16 luglio 2014 si legge testualmente: “Il dettaglio dei contenuti dei singoli programmi è nella maggior parte dei casi corredato da un’analisi di contesto che descrive sia lo scenario attuale che le azioni intraprese nel triennio 2010/2012. Si apprezza la schematizzazione tabellare inerente gli indicatori afferenti ad ogni azione, tuttavia è necessario che il documento sia strutturato prevedendo che, per ciascuno degli interventi/azioni che si intende realizzare, venga riportato l’impatto economico ed il crono programma, senza i quali il PO appare privo del suo significato”. Quindi serviva solo un’integrazione al documento e invece sapete cosa fa il nostro Presidente della Regione? Come detto, si sbarazza dello scomodo Ruta e commissiona un nuovo Piano Operativo al formidabile Dott. Percopo, quello che a chiacchiere nessuno voleva ma che sostanzialmente faceva comodo a tutti perché eseguiva gli ordini come un bravo soldatino. Un Piano completamente diverso che, oltre a restituire ai privati quello che giustamente Ruta aveva tolto, presenta un inquietante quanto originale progetto di integrazione tra l’ospedale Cardarelli e la Fondazione Giovanni Paolo II. Di quel P.O. simbolicamente abbiamo estratto un passaggio che vi ripropongo: “si è provveduto alla determinazione dei posti letto per le strutture pubbliche contemperando l’esigenza di eliminare ogni forma di duplicazione nell’offerta con quella di non penalizzare ulteriormente gli erogatori privati, già oggetto, negli scorsi anni, di rilevanti manovre di riduzione delle dotazioni”. Qui c’è tutto il succo della politica di Frattura e lo si è potuto riscontrare anche dalla bocciatura in Consiglio regionale dell’ordine del giorno proposto di recente dal MoVimento 5 Stelle che richiedeva di limitare al 15% del budget il contributo del privato. Siamo convinti che il privato debba avere un suo ruolo all’interno dell’offerta sanitaria ma che deve essere un ruolo di affiancamento ed integrazione e non di sostituzione o di duplicazione. Nel Piano Operativo presentato il 10 dicembre del 2013 si legge chiaramente l’intenzione di sperimentare un modello di integrazione pubblico/privato, ipotesi sulla quale il Tavolo Tecnico ha evidenziato tutte le criticità che la rendono irrealizzabile.
Con la riforma sanitaria del 1978 si è sancito che la Repubblica, attraverso il sistema sanitario nazionale, tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo, nell’interesse della collettività. E’ ovvio che tale finalità può essere garantita soltanto dal servizio pubblico perché è altrettanto scontato che, a differenza del privato, il lucro non è un obiettivo. E’ ancor più vero questo presupposto se si considera che il decreto legislativo 502 del 1992, nel disciplinare i casi di sperimentazioni gestionali atte a coinvolgere il privato in processi di integrazione con il pubblico, indica precise e stringenti condizioni. Inoltre, per casi del genere prevede una severa verifica annuale dei risultati da parte della Conferenza Stato-Regioni, con l’ausilio dell’agenzia per i servizi sanitari regionali, sia per quanto concerne l’aspetto economico che dal punto di vista della qualità dei servizi. Frattura invece, pensando di giocare con il piccolo chimico, mischia tutto e lo fa con una tale determinazione che, pur avendo incassato la totale disapprovazione del Tavolo Tecnico, lo fa proseguire per la sua strada incurante di tutto e tutti. Anzi, giustificato dai numeri imposti dal decreto Balduzzi, può realizzare il suo progetto ancora più indisturbato di prima. Immaginiamo come si sfreghino le mani i signori della Cattolica. Infatti, nel Piano Operativo Frattura, chiamiamolo così, era previsto che, “per sostenere e favorire il processo di concentrazione delle attività per acuti nel capoluogo molisano attraverso la costituzione di un polo ospedaliero unico, l’Università Cattolica – era – disposta ad addivenire con la Regione Molise alla stipula di un accordo che prevede(va):
■ chiusura del contenzioso in essere;
■ acquisto della struttura ospedaliera da parte della Regione Molise o, in alternativa, stipula di un contratto di locazione pluriennale con opzione di riscatto.
Ora invece potrà riorganizzare il sistema sanitario regionale semplicemente lasciando scoperte alcune specialità in modo che presso la Fondazione si possano adottare le trasformazioni necessarie per il completamento dell’offerta. Una vera manna per il privato.
A riprova di quanto detto, si aggiunga infatti che nel succitato O.D.G. votato in Regione i nostri portavoce hanno richiesto un’altra cosa che pure ha ricevuto un secco NO da parte del Consiglio regionale: che l’ospedale Cardarelli resti DEA di II livello. Un voto davvero ridicolo se si pensa che gli stessi consiglieri regionali hanno poi votato un altro ODG che richiedeva di impugnare il decreto “Balduzzi”. Infatti, sostanzialmente la parte del decreto che si contesta è proprio quella dove, nel distinguere i diversi presidi ospedalieri, prevede che un DEA di II livello sia possibile solo nei territori in cui insiste un bacino di utenza tra i 600.000 e 1.200.000 abitanti, escludendo per questo il Molise che ne ha poco più di 300.000. Ma allora perché votare NO all’ordine del giorno del movimento? A nostro avviso chiedere deroghe ora è inutile perché quel decreto è già frutto di concertazione tra Stato e Regioni maturata nelle sedi preposte. Il “Patto per la Salute” è stato sancito nella riunione del 10 luglio 2014, mentre gli standard ospedalieri sono stati condivisi nella seduta di Conferenza tenutasi il 5 agosto 2014. Quelle erano le occasioni in cui le Regioni avrebbero potuto battere i pugni per vedersi riconoscere peculiarità e differenze, i luoghi dove fare osservazioni e presentare emendamenti. E infatti altre regioni si sono fatte valere, come si può leggere nei verbali delle sedute. Sapete cosa ha detto in quelle occasioni Frattura? Niente, semplicemente non si è proprio presentato. Impugnare ora il decreto “Balduzzi”, come paventato dai consiglieri regionali, è una strada non percorribile ma è arcinoto che vendere il fumo all’opinione pubblica è arte della politica tradizionale nostrana. Una recente pronuncia del Consiglio di Stato, la numero 191 del 23 gennaio scorso, afferma che non c’è alcuna possibilità di intervenire per interrompere il corso normativo del provvedimento. Anche la giurisprudenza costituzionale è piena di precedenti e sicuramente non potrebbe che rigettare gli appelli perché quegli standard sono stati concertati tra Stato e Regioni, per cui non c’è stata alcuna prevaricazione o mancato rispetto del titolo V della Costituzione in merito alla competenza in materia. L’unica strada da intraprendere, a nostro avviso, è assecondare il decreto nella parte in cui stabilisce che: “Nelle regioni con popolazione inferiore ai 600.000 abitanti, l’attivazione o la conferma dei presidi ospedalieri di II livello è subordinata alla stipula di un accordo di programmazione integrata interregionale con le regioni confinanti in modo da garantire il rispetto del valore soglia di utenza” previsto. E’ inutile oltre che dannoso tentare altre strade come quella annunciata dal Presidente Frattura che vorrebbe, per Campobasso, prevedere un DEA di I livello “con qualche specialità in più”. Questo può significare solo due cose: o che per alcune cure dovremo rivolgerci al privato o che per quelle cure dovremo andare fuori regione. La programmazione da proporre al Ministero della Salute deve persuadere che non è possibile garantire il diritto alla salute se si operano riduzioni attraverso il taglio di intere unità operative ma che andrebbe semmai effettuata una rimodulazione del numero dei posti letto all’interno delle singole discipline. La conservazione del DEA di II livello a Campobasso, tra le altre cose, diventa fondamentale per la riuscita del sistema Hub e Spoke soprattutto in questa regione in cui l’orografia è sfavorevole, le strade sono un disastro e i tempi di percorrenza sono lunghi e incerti, anche a causa del maltempo. Questo tema che oggi ha aperto una agguerrita discussione nel Partito Democratico, protagonista nelle ultime settimane di uno spettacolo poco edificante per la politica in generale, era oggetto della campagna elettorale del MoVimento 5 stelle già nel gennaio del 2013. Sono oramai due anni che predichiamo nel deserto ed ora si scoprono tutti attenti alla necessità di conservare questa prerogativa per l’ospedale Cardarelli. La verità è che un ragionamento serio imporrebbe di domandarsi come assorbire o quantomeno attenuare il costo sociale che una scelta di organizzazione giusta comporterebbe. Quando parliamo di duplicazioni tra offerta pubblica e offerta privata, a maggior ragione se convenzionata, significa che stiamo richiedendo a soggetti terzi prestazioni che non ci servono. Per le strutture private presenti in regione vorrebbe dire sottrarre una garanzia di guadagno che oggi succhiano alla mammella del servizio sanitario regionale. Qual è il costo sociale in caso di organizzazione corretta? La perdita di numerosi posti di lavoro presso tali strutture. Questo è il tema in discussione. L’ipertrofia nella sanità molisana nei decenni trascorsi purtroppo non ha interessato solo la gestione pubblica ma anche quella privata ed oggi ci troviamo ad affrontare un problema che rischia di diventare un nuovo caso GAM. Se c’è un problema di personale da affrontare con decisione è quello relativo alla dotazione dei reparti pubblici. La situazione è drammatica perché il blocco del turn over a cui il servizio sanitario regionale è soggetto ci ha portati, non solo a dover soffrire carenze in molte Unità Operative Complesse, ma anche ad avere medici sempre più anziani. Nel 2012 dei 3269 dipendenti ASREM ben 1772 avevano un’età compresa tra i 50 e i 59 anni, 514 oltre i 60 anni. A febbraio di quest’anno il ministro Lorenzin, rispondendo alla domanda “Come si esce dai problemi dell’emergenza”, dichiarava pubblicamente: “”Va tolto il blocco del turn over, almeno in certi casi. Ci sono amministrazioni locali, in piano di rientro, che da 10 anni non assumono. Io sto provando un po’ alla volta a farlo, ma il Mef ogni tanto riblocca tutto. Il punto è che la sanità non può essere paragonata ad altri comparti pubblici, perché ha a che fare con la salute delle persone. Ci sono strutture che hanno carenze di personale, e bisogna intervenire per risolverle”. Speriamo vivamente che si possa presto beneficiare di queste intenzioni visto che solo in parte si potranno risolvere i problemi di personale attraverso la mobilità regionale. Solo poche altre parole che vorremmo dedicare alla Rete Territoriale e alla Rete dell’Emergenza/Urgenza. Se è vero com’è vero che stiamo andando finalmente incontro all’abbandono dell’idea ospedalocentrica che ha caratterizzato il Molise per molti anni, assume un ruolo importante la valorizzazione delle strutture esistenti nella città capoluogo e il tipo di contributo che questa città e quindi questa assise possono dare per il riassetto organizzativo sul territorio. A tal riguardo di recente abbiamo proposto che il Comune di Campobasso concedesse all’Asrem a titolo gratuito un’ulteriore sede per potenziare il servizio di Guardia Medica. Non entro nel merito dell’utilità di questa scelta lasciando ai tecnici la valutazione oggettiva di una simile opportunità ma vorrei evidenziare come la risoluzione dei problemi legati alla gestione del Pronto Soccorso non possono che passare attraverso l’attenzione maggiore per il territorio, anche grazie al potenziamento dei presidi di continuità assistenziale, affinché facciano da filtro per le strutture ospedaliere, oggi troppo spesso usate impropriamente da un numero sempre maggiore di cittadini che altrimenti non saprebbero come e dove vedersi riconoscere il proprio diritto alla salute. Se da un lato siamo perfettamente consci che la volontà di questo Consiglio comunale sarà snobbata dal nostro Presidente della Regione, sordo all’orecchio del buon senso, dall’altro lato riteniamo di dover combattere per la salute dei cittadini che come fosse pesce al mercato si sta tentando di trasformare in merce.