Ricordo senza nostalgie ne pentimenti la chiusura del XVII° Congresso della Cisl nel quale durante le mozioni conclusive presi la parola per tentare di presentare una mozione che tentasse di dare una sterzata ai danni che avrebbe procurato la legge Fornero, fui sommerso da un coro di BUUUU, la storia mi ha dato ragione, cosa poteva interessare agli attenti partecipanti del congresso Cisl, la stragrande maggioranza pensionati tesi a difendere i propri diritti, se i sessantenni sarebbero dovuto rimanere sette anni in più sul lavoro e i giovani avrebbero dovuto attendere sette anni per vedere una speranza di un posto di lavoro?
Come se non bastasse, quando si cominciava a intravedere uno spiraglio positivo sui dati occupazionali, ci toccava anche questo difficile periodo, caratterizzato dal Covid, una Pandemia che ci trasmette lezioni da imparare e da metabolizzare, ci mette a nudo e fa emergere le fragilità della nostra economia, ci sbatte in faccia le ingiustizie della nostra società e ci mostra tutte le crepe del nostro sviluppo poco equo e per niente sostenibile.
La speranza ,oggi, è che il Covid sparisca o si azzerino i suoi effetti grazie a cure e/o vaccinazioni di massa, nel frattempo dobbiamo resistere, evitare affollamenti, sostenere i settori in difficoltà e aspettare, come in una giornata burrascosa: stiamo alla finestra e aspettiamo che passi la notte, tornerà il sole.
Questa messa in trasparenza dei nostri difetti, questo disvelarsi dei problemi strutturali rendono fragile il nostro sistema, bisogna far sì che il “dopo” non torni ad essere come “prima”.
ll Covid ci ha aperto gli occhi, per cui possiamo vedere più in là, immaginare e iniziare a costruire un futuro più giusto, più coeso, a partire da relazioni diverse tra persone e un nuovo rapporto con l’ambiente, l’esigenza di cambiamento vale soprattutto per il lavoro, su cui è fondata l’essenza della Repubblica Italiana, che nella Costituzione riconosce un vero e proprio diritto-dovere universale al lavoro, su cui si sostiene il nostro sistema,che garantisce la coesione sociale e la dignità della persona, per questo va promosso e garantito a ciascuno.
Papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti”, dice: “aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per far fronte a emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro”.
Finita l’emergenza sanitaria, venendo meno il blocco dei licenziamenti, si teme uno tsunami nella società, anche se di tsunami, silenziosi, se ne sono già avuti tantissimi in questi mesi senza che nessuno abbia alzato la voce per denunciarli, oltre 500mila i posti di lavoro saltati dall’inizio della pandemia, sono quelli di; giovani, precari e donne, persi anche mentre vigeva il divieto di licenziamento, questa è solo la punta dell’iceberg.
Il mondo giovanile già prima della pandemia, era pieno di difficoltà e storture, entrano tardi nel mercato del lavoro, sono costretti ad accettare situazioni precarie, sottopagate e spesso al di fuori delle proprie aspirazioni, “obbligati” a espatriare, nel peggiore dei casi inebetiti ad infoltire l’esercito dei Neet, un suicidio sociale che da “male individuale” sta diventando una catastrofe per la collettività ,oltre 2 milioni, giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e nemmeno più cercano lavoro.
Il Cnel, nel rapporto “mercato del lavoro e contrattazione 2020” riporta i dati su giovani inattivi e occupazione femminile, impietosi, sono soprattutto loro a pagare il prezzo più alto della crisi pandemica, esposti/e a lavori precari, in particolare nei settori dei servizi, continuano a essere meno coinvolti/e nel mondo del lavoro, la quota di occupazione giovanile e femminile è al di sotto delle medie europee.
La situazione rischia di peggiorare se la crisi di governo innescata nei giorni scorsi continuerà a frenare il lavoro di programmazione e pianificazione dell’impiego delle risorse del Recovery fund.
Serve un accordo di legislatura, meglio un governo di Solidarietà Nazionale, che riporti al centro la gestione dei fondi europei, per un massiccio investimento su lavoro, sanità e infrastrutture.
In ambito politico e istituzionale, occorre immaginare un cambio di passo, la pandemia ha dimostrato come servano meccanismi di risposta rapidi ed efficaci alle istanze, vecchie e nuove, dei cittadini e una visione complessiva di come vorremmo che diventi l’Italia del futuro, bisogna mettere in discussione i vecchi modelli; concentrarsi sul segmento alto del sistema educativo (Istruzione e Formazione Professionale, scuola secondaria, università), i dati dicono che non riesce più a trattenere giovani studenti, della fascia 18-24 anni, per svilupparne le conoscenze, un buon 13,5% non ha completato il ciclo di istruzione secondaria superiore e la percentuale dei laureati italiani è tra le più basse d’Europa, mancano le competenze richieste per il mercato del lavoro da enti e imprese (la cosiddetta mancata corrispondenza(mismatch).
L’istruzione secondaria e i percorsi universitari dovrebbero essere programmati con maggiore attenzione alle necessità del mercato del lavoro; la componente professionalizzante e tecnica del sistema educativo nazionale (in particolare l’IeFP e gli Its) andrebbe fortemente sviluppata in tutte le Regioni: siamo dietro a Francia o Germania, pur essendo il secondo paese manifatturiero d’Europa.
Serve utilizzare le risorse del Recovery fund per finanziare l’apprendistato ed estenderlo ai Neet, potrebbe fare la differenza e dare nuove opportunità a tanti giovani, oggi, esclusi.
L’Italia, sulle politiche attive del lavoro, si è sempre distinta per livelli di spesa pubblica molto al di sotto della media Ocse, e soprattutto inferiori rispetto alle politiche passive implementate, la spesa per le politiche passive supera il 75% della spesa complessiva per il lavoro e quello che residua è investito male, in incentivi monetari che non stimolano la crescita, ma intervengono solo sulla superfice del problema.
Occorre investire e credere nelle politiche attive del lavoro, come mezzo per sostenere la buona occupazione e lo sviluppo, significa comprendere anzitutto che la nostra attenzione deve essere spostata sui servizi e sulla formazione, più che sugli incentivi e le dazionion, servono strumenti di potenziamento delle occasioni di incontro fra domanda e offerta di lavoro, nuove infrastrutture fisiche e digitali, nuove risorse preparate per orientare e formare coloro che sono alla ricerca di lavoro.
Dallo sviluppo e dal lavoro dipenderà il futuro del sistema di welfare nel nostro paese: sanità, istruzione, assistenza, previdenza dipendono e dipenderanno da quanto valore riusciremo a custodire ed esprimere in termini di crescita economica e coinvolgimento-attivazione delle energie dei lavoratori, soprattutto dei più giovani, oggi spinti ai margini.
Come ci ricorda il Papa, non possiamo più permetterci “di restare fuori da dove si genera il presente e il futuro”. O saremo coinvolti “o la storia” ci “passerà sopra”.
Alfredo Magnifico