C’era una volta Campobasso la città giardino

C’era una volta Campobasso la città giardino. Così potrebbe iniziare una bella favola e come finale il classico e vissero tutti felici e contenti; invece, non è così. Prendiamo spunto per fare qualche considerazione dall’abbattimento e il reimpianto della sequoia che troneggia in piazza Cesare Battisti. Spoglia senza rami ferita a morte, la pianta che da sempre offre riparo sia d’inverno che d’estate a breve sarà abbattuta per dare spazio ad una nuova vita. La quale, si spera non diventi una nuova vittima di deturpazione del verde che ha permesso per lungo tempo di poter avere un privilegio che altre realtà non hanno: vivere la città passeggiando e respirando senza aver alcun problema; questo era Campobasso realtà a dimensione d’uomo. Potremo fermarci qui e cedere i commenti a chi passa vicino ancora per poche ore quello che è il risultato dell’incuria cui aggiungiamo senza alcun timore di smentita altre distonie quali: strade dissestate, non fruibilità dei passaggi pedonali, mancanza di parcheggi liberi, macchine in doppia se non in terza fila, quartieri nuovi e vecchi non più sicuri e in degrado continuo che aumentano la confusione e il caos specialmente nelle ore di punta. Questo è Campobasso, anche se quando si arriva in città dalla periferia, il colpo d’occhio permette di spaziare a 360 gradi e l’immagine che si presenta, è quella di una realtà moderna all’avanguardia, in continua espansione e al passo con i tempi. Cose che svaniscono appena ci si addentra nel cuore urbano in cui il disordine avvolge, stordisce tanto da desiderare di scappare via il più presto possibile, tant’ è non ci sono parole adatte per descrivere lo sconcerto che si prova. Invece no, vogliamo capire se ci sono colpe e di chi sono; anche se sappiano in partenza che non avremo risposte. Troppe volte abbiamo testimoniato il continuo degrado. Troppe volte ci siamo scontrati con chi dice di fare il bene della città; ecco perché ci piacerebbe dare la parola, se potesse, a quello che rimane dell’arbusto. Un qualcosa che rimarca, qualora necessitasse come il lassismo e la non curanza si sono impossessati del capoluogo di regione che ha assunto l’aspetto di un “clochar”. Uno di quei poveri che s’incontrano agli angoli delle strade in attesa di elemosina che purtroppo sono poca cosa per far ritornare lo splendore di un tempo. Una città che, anche se era unitamente alla Sardegna e altri piccoli centri della Calabria e della Lucania luogo di punizione, bastava viverla così com’è perché ti entrava dentro con il garbo di chi sa di non avere nulla da offrire se non se stessa. Una città che non esiste più se non in rare fotografie ingiallite dal tempo e relegate in qualche cassettone o appese al muro a impolverarsi pronte a essere mostrare solo in certe occasioni che, purtroppo, visto i risultati, alquanto disarmanti è meglio affidare ai ricordi con la speranza quello che è stato torni ad essere realtà e non una cosa di cui bisogna vergognarsi.  Massimo Dalla Torre

( foto di repertorio)

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