Da anni ormai ci sentiamo ripetere dai politici di destra che “i Centri per l’impiego non funzionano”. Ma da chi dipende la gestione operativa dei Cpi? Dalle Regioni, tre quarti delle quali governate da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Proprio così. Ma andiamo con ordine.
Nel 2019, insieme al Reddito di cittadinanza, grazie al Movimento 5 Stelle fu varato anche un Piano straordinario di potenziamento dei Centri per l’impiego, che in tre anni avrebbe dovuto portare all’assunzione a tempo indeterminato di 11.600 nuovi operatori e per cui venne stanziato 1 miliardo di euro. Le Regioni guidate da quei partiti che oggi a Roma compongono la maggioranza del Governo Meloni avrebbero dovuto inserire all’interno di queste strutture 6.116 unità di personale entro il 2021. Al 31 dicembre 2022, secondo i dati forniti dal Ministero del Lavoro in risposta ad una nostra interrogazione, ne avevano assunti solo 1.735: il 28%, meno di uno su tre.
Qualche esempio? L’Abruzzo: 255 posti assegnati dal Piano di potenziamento e solo 13 assunti alla fine dello scorso anno; il Piemonte: 716 operatori previsti e 206 effettivamente inseriti; l’Umbria: appena 35 ingressi a fronte dei 129 che ci sarebbero dovuti essere. Per non parlare di Basilicata, Calabria, Molise e Sicilia, che alla voce “assunzioni a tempo indeterminato al 31.12.2022” hanno scritto zero.
Pochi giorni fa, rispondendo ad una interrogazione parlamentare presentata dal M5S, il Governo ha certificato ancora una volta i ritardi nell’attuazione del Piano straordinario di potenziamento dei Centri per l’impiego.
Nel caso della nostra regione possiamo asserire che si tratta di uno grandi fallimenti della giunta di Donato Toma. In particolare se pensiamo al fatto che la ripartizione e l’assegnazione delle risorse finanziarie da destinare a 75 unità di personale partiva dall’annualità 2019. Sono quindi già quattro gli anni di liquidità definitivamente persi dall’amministrazione regionale.
Insomma, in tv gli esponenti di destra attaccano il M5S e denigrano i percettori del Rdc chiamandoli “divanisti” e “fannulloni”, ma tacciono sull’immobilismo dei loro compagni di coalizione. Consideriamo inaccettabili questi ritardi, che, per di più, mettono a rischio la realizzazione delle riforme del mercato del lavoro previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il tempo della propaganda è finito: bisogna intervenire subito.