” Seguo con molto interesse le iniziative politiche degli ultimi mesi attraverso le quali Lei ha inteso promuovere e rilanciare il dibattito sul futuro del centrodestra e dell’Italia in generale. La seguo poiché sono da sempre un convinto sostenitore del dialogo e del confronto democratico: è la discussione politica che aumenta e rafforza la nostra capacità di trovare risposte ai problemi comuni.
Ma ciò non significa, ovviamente, che si possa essere d’accordo su tutto. In una recente intervista, ad esempio, – tra i vari argomenti affrontati – Lei ha sostenuto la necessità di riformare il nostro sistema di autonomie regionali a cominciare dal Molise, una Regione che – cito testualmente – “non ci possiamo permettere perché ha gli abitanti di un quartiere di Milano”. Un’argomentazione che tiene banco ogni qualvolta si discute del riassetto delle autonomie regionali, quasi a voler sottolineare come sia l’esistenza della Regione Molise la causa principale delle difficoltà economiche dell’Italia e degli sprechi della pubblica amministrazione.
E tuttavia è fin troppo evidente che la questione andrebbe valutata da un altro punto di vista. Non è infatti sulla base di un mero calcolo statistico degli abitanti che una Regione diventa “sostenibile” o meno dal punto di vista economico. Così stando le cose, la Val D’Aosta, con i suoi 128mila residenti, sarebbe di gran lunga più insostenibile del Molise.
Un Molise che, è bene ricordarlo, ha un reddito pro-capite di gran lunga inferiore a quello della Valle D’Aosta; che non ha nessuna autostrada, zero aeroporti e una rete ferroviaria obsoleta e senza l’alta velocità. Una Regione che, a differenza della Valle D’Aosta, non gode del privilegio di avere uno Statuto Speciale e di poter dunque trattenere nel proprio territorio la maggior parte dei tributi riscossi.
Non sono dunque i singoli parametri statistici a poter delineare la necessità di riassetto territoriale delle nostre regioni. Al contrario, le autonomie di piccole entità territoriali come il Molise e la Valle D’Aosta, trovano la loro ragion d’essere proprio nelle loro specificità storiche e geografiche, in un’Italia che ha soprattutto nei suoi innumerevoli piccoli comuni – piuttosto che nei grandi centri urbani – la spina dorsale della propria identità collettiva.
La mia non vuole essere – e non lo è di certo – una difesa d’ufficio o una rivendicazione dai contorni campanilistici. Come parlamentare europeo conosco a fondo l’importanza ed il ruolo che le macroregioni rivestono in un’Europa sempre più integrata ed alle prese con le difficoltà storiche ed economiche degli ultimi anni. Allo stesso tempo sono perfettamente consapevole che il tema di una possibile revisione del numero complessivo delle Regioni è un tema su cui è necessario ragionare senza alcun pregiudizio di sorta e con la dovuta attenzione politica.
Ed è proprio sulla scorta di queste argomentazioni che credo che il dibattito sul riassetto territoriale delle Regioni meriti approfondimenti ben più solidi di quelli che poggiano sull’equazione che vorrebbe la cancellazione del Molise perché povero di abitanti.