La questione della sperequazione dei trattamenti previdenziali, con particolare disomogeneità a discapito delle pensionate, è uno dei principali temi da affrontare nel più ampio percorso di riorganizzazione ed adeguamento del sistema previdenziale. Gli interventi operati nel 2011 dal Governo Monti, ed in particolare la Legge Fornero, sono stati una gigantesca operazione di cassa ai danni del sistema previdenziale italiano, per cui: è ora di porre qualche rimedio.
L’innalzamento dell’età pensionabile è sicuramente la misura che ha creato più problemi, tra cui il caso esodati (cittadini che si sono trovati senza più un lavoro e senza ancora la pensione), l’eccessiva rigidità di accesso alla pensione, il blocco del turn over aziendale (che tiene al lavoro persone ormai anziane e lascia fuori i giovani).
“Le più colpite dalle riforme previdenziali – fa rilevare Tecla Boccardo, Segretario generale della UIL molisana – sono state le donne, le lavoratrici di tutti i settori che hanno visto salire in pochissimo tempo l’asticella dell’età per l’accesso alla pensione. Le lavoratrici del settore pubblico sono state le più penalizzate: per loro l’aumento è stato di oltre 4 anni in un solo step, mentre per le lavoratrici del settore privato ed autonome è stata mantenuta una curva, seppur molto ripida, che le porterà nel 2018 ad eguagliare l’età di accesso prevista per gli uomini.”
Per la UIL è necessario ed urgente avviare un processo di reintroduzione di una maggiore flessibilità di accesso al pensionamento, stabilendo un range di età tra i 63 ed i 70 entro il quale la lavoratrice o il lavoratore possano scegliere liberamente quando andare in pensione, senza penalizzazioni oltre quelle implicite nel sistema contributivo. Imporre dei requisiti contributivi troppo stringenti, come si è fatto, penalizza gravemente le lavoratrici, che solitamente hanno carriere lavorative più discontinue. Questo è ancora più evidente se consideriamo che solo il 36,8% delle pensioni di anzianità in essere sono erogate a donne, mentre per quanto riguarda i trattamenti di vecchiaia le donne sono il 79,5%.
Va cambiata anche la norma con cui si prevede che l’importo minimo per l’accesso alla pensione di anzianità sia pari ad 1,5 volte l’assegno sociale. Questo limite colpisce in particolar modo le lavoratrici, la cui storia contributiva è spesso più frammentata, ed i lavoratori con redditi più bassi. Lasciando loro come unica opzione la pensione di vecchiaia, si discrimina di fatto una porzione di lavoratrici e lavoratori obbligandoli ad attende fin oltre il settantesimo anno di età per poter andare in pensione: soglia fortemente ingiusta e penalizzante. “Senza contare – commenta Boccardo – che certi lavori non si riescono più a fare oltre una certa età, si pensi all’edile ma anche all’insegnante di asilo nido o all’infermiera.”
La storia contributiva delle lavoratrici e dei lavoratori viene resa ancora più frammentata dalle difficoltà, soprattutto economiche, per procedere al ricongiungimento di periodi lavorativi di diverse gestioni previdenziali. Per la UIL è inaccettabile che un lavoratore debba farsi carico della ricongiunzione di diversi periodi lavorativi: questa operazione deve essere automatica e gratuita per tutti i lavoratori affinché ogni contributo versato possa contribuire a formare il futuro assegno previdenziale del lavoratore.
Ci sono, poi, tante altre ingiustizie previdenziali che vanno rimosse. Fra queste l’impossibilità di cumulare il riscatto per i periodi di congedo parentale con quelli relativi al corso legale del periodo di laurea, laddove invece va prevista una vera e propria contribuzione per i periodi di congedo per maternità e per la cura della famiglia, per aiutare le lavoratrici che decidono di dedicare parte del proprio tempo all’assistenza di familiari.
Si deve procedere con un deciso intervento sulle modalità di calcolo attualmente vigenti per il lavoro domestico, settore nel quale è prioritaria la presenza di donne. Il limite minimo di 24 ore settimanali, necessario per una totale copertura contributiva, è troppo stringente e penalizzante.
La UIL, anche nel corso di una recente audizione parlamentare, ha chiesto che si dia al più presto una risposta alla vicenda “Quota 96 della scuola”. Si tratta di una questione complicata e ingarbugliata che colpisce particolarmente le donne, che nella scuola rappresentano la maggioranza dei lavoratori, molte delle quali dal 2011 attendono la possibilità di accedere alla pensione.
C’è poi un’altra vicenda tutta previdenziale che vede le donne particolarmente discriminate: è quella delle pensioni già in essere. I trattamenti in generale sono spesso di importo assai basso (solo una modesta parte di pensioni supera i mille euro al mese) e quelli il cui titolare è donna lo sono ancora di più. Le pensioni di reversibilità, delle quali sono per lo più donne a fruire, sono ancora più basse rispetto a quelle di vecchiaia. Da anni le pensioni non percepiscono nemmeno gli aumenti per adeguarle al costo della vita, nonostante la Corte Costituzionale abbia recentemente affermato che così non si può continuare a fare. Le pensioni in Italia pagano le tasse e, quando qualche beneficio è stato accordato (come i famosi 80 €), i pensionati sono stati esclusi. “Si deve fare subito qualcosa per coloro che sono già pensionati – è perentoria Boccardo – abbassare le tasse, estendere gli 80 euro, restituire gli aumenti sottratti negli scorsi anni, prevedere un meccanismo di adeguamento delle pensioni che ne salvaguardi nel tempo il potere di acquisto. Riconoscere ai pensionati i loro diritti vuol dire far qualcosa anche per le loro famiglie.
“Con un’ampia revisione del sistema previdenziale, come la UIL reclama, si deve sistemare i problemi dei pensionati di oggi e, contemporaneamente, fare in modo che i futuri trattamenti siano maggiormente rispondenti alla reale storia contributiva delle lavoratrici. Anche se, per il sindacato, la strada della parificazione fra uomini e donne, in ambito previdenziale ma anche lavorativo e sociale, passa anche attraverso la contrattazione e dall’adozione di positive politiche di genere nel loro insieme – evidenzia la leader della UIL molisana – La UIL è da sempre impegnata affinché nel nostro Paese venga eliminata ogni discriminazione delle donne: parità di salario e, più in generale, totale parità di trattamento, anche previdenziale.”
Boccardo (UIL) : la Previdenza discrimina le donne, rivedere subito le norme
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