Questo mese di settembre si è subito presentato con segnali in qualche modo discordanti fra loro, luci e ombre che si accavallano, buone notizie e, subito dopo, docce gelate sugli entusiasmi di coloro che vedono l’Italia ormai in uscita o addirittura fuori dalla crisi. Qualche giorno fa l’ISTAT ci ha dato due buone notizie: a luglio il PIL italiano è cresciuto più del previsto, sia pure soltanto di un decimo di punto, e la disoccupazione è diminuita di mezzo punto abbondante, addirittura quasi del 3% tra i giovani, scendendo al livello più basso degli ultimi tre anni. Non sarà così dappertutto, purtroppo non è così in Molise, ma sono dati positivi.
Ed ecco, subito, le notizie meno buone: la BCE ha rilevato che l’inflazione europea tende a crescere assai più lentamente di quanto sarebbe necessario ad archiviare definitivamente la recessione europea e nel frattempo sono quasi due anni che facciamo i conti col ristagno dei consumi.Il FMI ha annunciato previsioni tutte al ribasso sulla crescita mondiale, dell’Eurozona e dell’Italia per svariati decimali di punto. Queste due istituzioni internazionali hanno preso atto del rapido venir meno delle favorevoli condizioni internazionali – rivalutazione del dollaro, petrolio a buon mercato, vigoroso contributo della Cina e dei Paesi Emergenti alla crescita mondiale – che hanno finora più che considerevolmente sostenuto, pur in tempi di recessione, la domanda e gli scambi globali.E allora, se il mondo smette di crescere, si riducono i vantaggi assicurati ai Paesi esportatori, Italia compresa, dai bassi prezzi dei prodotti petroliferi e dal “dollaro forte”.
Insomma, tutto sembra dire che l’Italia potrà contare sempre meno sul favore delle circostanze esterne. Per questo, se non vogliamo avere altre cattive notizie, dobbiamo fare, come “sistema Paese”, più conto su noi stessi, sulle “fondamentali leve dello sviluppo” che da noi dipendono e sulle quali noi possiamo agire: i consumi e gli investimenti.
La vicenda “consumi” il sindacato non può che giocarsela direttamente con governo e parlamento: ridurre l’altissimo prelievo fiscale che assottiglia i redditi dei lavoratori, dei pensionati, della grandissima parte delle famiglie italiane; attività d’impresa che deve essere meno taglieggiata dal fisco e il costo del lavoro che va meno oppresso dalle imposte.
Per dare più soldi ai lavoratori, il sindacato è impegnato anche a rinnovare i contratti di lavoro, con molte difficoltà e resistenze frapposte dai datori di lavoro e dalle loro Associazioni. “Confindustria deve decidersi a non fermare i contratti – commenta preoccupata Tecla Boccardo, responsabile della UIL molisana – ponendo in campo posizioni oltranziste sui salari ma deve aprire con noi un vero confronto sui problemi della crescita e dell’innovazione e della necessaria evoluzione delle prestazioni di lavoro”.
Sembra infatti che ora, proprio ora, Confindustria voglia discutere una riforma del sistema contrattuale, fissare, cioè, le nuove regole per discutere e sottoscrivere gli accordi. E, nel frattempo, fermare le discussioni sui nuovi contratti.
Per quanto riguarda la riforma del modello contrattuale, le idee della UIL sono arcinote: contratto nazionale tarato sul PIL e diffusione della contrattazione di secondo livello basata sulla produttività che tenga conto di diversi fattori quali gli investimenti, la tecnologia, l’innovazione di processi e prodotto.
“Rinnovo dei contratti scaduti o in scadenza e confronto per una riforma del sistema contrattuale devono andare di pari passo – è sempre Boccardo che parla – Non si può impedire a quelle categorie che hanno già presentato le piattaforme (commercio, chimica, agroalimentare,…) di procedere immediatamente al rinnovo.”
Accanto all’obiettivo di rialzare i consumi interni, quelli delle famiglie del nostro Paese, c’è poi la necessità di investimenti pubblici e privati.
Degli investimenti pubblici abbiamo detto spesso, a partire dal più efficace utilizzo dei fondi europei da concentrare su interventi strategici e da non disperdere nei mille rivoli. Ricordando però che gli Stati Uniti stanno investendo mille miliardi di dollari l’anno in infrastrutture, innovazione e tecnologia, ricerca e cultura. Noi in Europa e in Italia, figuriamoci in Molise, non stiamo investendo un euro.
Ma, soprattuttoin questo momento con i tassi dell’interesse praticamente a zero, c’è tanto spazio, anche per gli investimenti privati, perchéle imprese tornino ad investire. Proprio quelle aziende che hanno finora “tirato i remi in barca”, hanno chiuso fabbriche e delocalizzato impianti. Proprio quegli imprenditori molisani che si trovano per le mani le opportunità che derivano dal riconoscimento dell’area di crisi, devono ora rialzare la testa e ricominciare ad investire, a scommettere davvero sul futuro di questo territorio.
La base produttiva del paese si è, infatti, ristretta di oltre un quarto anche perché le imprese hanno smesso di investire, ed il Molise vive un momento di difficoltà e di povertà dilagante anche perché qui di imprenditori coraggiosi se ne vedono pochi.
Boccado (UIL): subito il rinnovo dei contratti di lavoro. Gli imprenditori devono tornare ad investire anche in Molise
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