Prendiamo spunto dall’uscita nelle sale cinematografiche il prossimo sei ottobre del “Sogno di Francesco” interpretato dall’attore Molisano Elio Germano, che, ha voluto dare una sua visione del giullare di Dio molto particolare. Una visione che l’ha portato fra l’altro a venire in contatto con altre religioni specialmente quelle indiane, in cui la spiritualità è vissuta in modo differente dal consueto. “Francesco è un uomo che segue con passione, – Germano lo ha raccontato in un intervista pubblicata sul Corriere della sera,- coraggio e coerenza la scelta radicale di vivere ispirandosi al Cristo, volutamente lontano dalle rappresentazioni e dai santini. Quello di Francesco è un percorso in cui mistero e misticismo giocano un ruolo importante, tant’è che mi ha convinto l’approccio laico dei due registi che, forse perché francesi, sono interessati all’epoca storica e all’avventura collettiva.
Questo è un film veramente francescano, perché evidenzia quanto non si sentisse superiore agli altri. Ho cercato di rendere proprio questo suo aspetto umano, il suo mettere al centro gli altri e mai se stesso, il suo destino. Il cuore del film sta nel rapporto tra Francesco e la controversa figura di Elia da Cortona, uno dei suoi primi confratelli, grande artefice della codificazione della Regola, colui che, tra l’altro, promuove la costruzione della basilica di Assisi. Il pragmatismo di Elia cerca un punto d’incontro tra confraternita e la Chiesa di Roma contro l’utopia di Francesco che privilegia la testimonianza di vita. Un conflitto attualissimo in cui ci confrontiamo tutti con le necessità in talune condizioni di arrivare a dei compromessi anche se la questione è ancora aperta, non a caso esistono tre diversi ordini francescani. Francesco non cercava di prevalere, mostrando la sua assenza totale di giudizio e l’interesse all’ascolto che è più forte della voglia di convincere qualcuno. La storia è ciclica. Un ciclo si è chiuso con il XX secolo tant’è che ora viviamo una fase “medievale”, delicata e pericolosa”.
Sulla base di queste considerazioni vogliamo riproporre alcuni pensieri trasposti in un precedente articolo specialmente su cosa rimane dell’abbraccio del Molise ad Assisi? Allorquando la ventesima regione dello stivale portò l’olio sulla tomba del santo assisano. Domanda che ci siamo posti nel silenzio più rumoroso, quando ci siamo trovati sulla piazzetta antistante alla basilica di Santa Chiara l’ultima sera dell’anno 2012. Domanda cui difficilmente si può dare una risposta perché l’incontro tra due realtà Molise e Umbria, nonostante sono passati alcuni anni, è talmente straordinario che, non si può quantizzare, se non solo dal punto di vista numerico.
Un numero legato direttamente all’avvenimento in cui la comunità Molisana nella sua interezza rese omaggio con simboli semplici a chi si è fatto povero tra i poveri per scelta e convinzione. Oggetti che sicuramente Francesco e Chiara avrebbero rifiutato in osservanza alla regola che si erano dati. Oggetti come il calice fatto con il grano, la casula intessuta con il tombolo, i prodotti della terra, l’opera degli artigiani che hanno forgiato con il fuoco una lampada, un’anfora in rame, il restauro di opere danneggiate dal sisma sono la personificazione e la materializzazione della fede dei molisani, che da sempre guardano al centro posto ai piedi del Subasio come luogo di speranza e di salvezza. Parole che riecheggiano soprattutto quando si rende omaggio alle dimore dei santi. Luoghi in cui avviene la rinascita, solo se si è pentiti seriamente e non a chiacchiere. Luoghi che lanciano un messaggio forte: “pace e bene”. Luoghi che, raccordandoci alle nostre realtà hanno molta assonanza tra loro. Storia, letteratura, arte e misticismo da un lato, semplicità, sofferenza, lavoro ed emigrazione dall’altra, che affondano le radici nel vissuto delle genti che vi abitano. Realtà in cui, il quotidiano fa si che i valori che ispirarono il giullare e la serva di Dio sono l’humus che li alimenta. Elementi semplici che mostrano, specialmente a chi critica, contesta e rigetta, la persona così com’è, con le sue debolezze, le passioni e le angosce. Parole che ad Assisi è possibile trovare aggirandosi nell’abitato, ascoltando lo scorrere dell’acqua delle fontane, soffermandosi a soppesare il tempo. Cose che, si toccano non solo con mano, ma con lo spirito e la mente, scalzando in questo modo le incongruenze che minano le fondamenta dell’uomo come tale. Uomo testimone, uomo carne, uomo essere, come Francesco e Chiara che, da oltre 1000 anni, testimoniano un esempio e una scelta di vita.
Un sincronismo di coscienze non più malate ma risanate, il che permise e permette di allontanare il cinismo e la pochezza. Parole che sono anche in noi e che, solo al termine del cammino, ci ricordiamo di aver tradito la fiducia di chi ci aspetta nonostante lo abbiamo ingannato, raggirato, sbeffeggiato, vilipeso, offeso e rinnegato ma questo lui lo sa: ecco perché l’incontro tra il Molise e Assisi ancora si coniuga con coloro che dissero no gli agi, alla ricchezza e al benessere. Un incontro che si perpetra abbracciando il tau simbolo di forza e di speranza che permette di essere se stessi.
Massimo Dalla Torre