Il gesto: semplice, silenzioso, spontaneo, ma che richiede una corretta interpretazione e consapevolezza per sapere bene cosa fare e non quando lo si adopera. Comunicare attraverso un codice condiviso significa giungere in maniera chiara e funzionale all’obiettivo desiderato; più importante diventa questo concetto quando a dover essere comunicata è una situazione di emergenza.
Un anno fa, causa Coronavirus, le nostre case sono diventate il posto sicuro per evitare il contagio; questa percezione di sicurezza che abbiamo avvertito in diverso modo, si è rivelata una trappola per quelle donne cui la casa è il posto da cui fuggire. In tempi di Covid le violenze tra le quattro mura si sono quadruplicate: è venuto meno quel canale comunicativo con l’esterno che ha costretto le vittime di violenza a vivere costantemente con la brutalità di una situazione da cui, il più delle volte, è difficile difendersi.
Così, mentre il mondo intero cercava di difendersi dall’emergenza sanitaria in corso, una fondazione canadese – la Canadian Women’s Foundation, impegnata contro la violenza domestica e di genere, ha proposto SignalForHelp, un gesto della mano per segnalare in modo silenzioso un abuso e chiedere aiuto, anche in presenza dell’aggressore. Attraverso i social network, lo scorso marzo, il segnale arriva anche in Italia: si tratta di un gesto semplice per richiamare l’attenzione in una situazione di pericolo in casa. Consiste nel piegare verso il palmo della mano il pollice tenendo le altre quattro dita in alto e poi chiuderle a pugno. Il segnale può essere fatto durante una videochiamata o quando, ad esempio, si apre la porta di casa per ricevere un pacco.
“Se vedi qualcuno rivolgerti questo strano saluto, chiama subito il 1522”, questo il claim della campagna di sensibilizzazione e comunicazione, amplificata attraverso il web con l’#SignalForHelp.
La consapevolezza che un gesto può aiutare alcune persone a comunicare silenziosamente in una situazione di bisogno, porta a riflettere su quella che l’agenzia per le Nazioni Unite ha definito “pandemia ombra”.
Essere costrette a restare a casa e a condividere costantemente lo spazio con il proprio aggressore ha reso ancora più difficile chiedere aiuto. L’isolamento domestico compromette le relazioni sociali, un naturale fattore protettivo contro la violenza, e la costante presenza del partner in casa rende impossibile per le vittime anche fare una semplice telefonata.
Per questo è fondamentale l’universalità riconosciuta del gesto, un segnale di aiuto che non fa riferimento a parole, lettere o concetti di una lingua o di una cultura, e che può essere riprodotto in maniera molto rapida e del tutto naturale, quasi fosse un saluto.
Questo, però, non deve farci pensare che chiunque possa poi intervenire nella situazione di bisogno: chiamare le Forze dell’ordine o contattare il numero nazionale dei Centri anti violenza è l’unico modo per essere davvero di aiuto a chi, spesso, non sa come chiederlo.
Dott.ssa Luisa Iammatteo – Addetta alla comunicazione Liberaluna Onlus