Angolo della Psicologa/ L’esperienza della perdita e la gestione del lutto: quando non è possibile salutarsi

Quest’articolo è scritto a quattro mani, le mie e quelle di fra Nicola Maio, un giovane frate cappuccino che ci aiuterà a cogliere gli aspetti più spirituali di questo argomento cosi difficile e triste da affrontare. A me resta il compito di spiegare la parte più psicologica. Tuttavia insieme, vedrete come le due visioni di integrino perfettamente e siano complementari. Buona lettura.
Perdere una persona cara è una delle esperienze destinate a segnare, più delle altre, la storia personale di chi subisce la perdita.


Ogni perdita rappresenta una minaccia alla propria sicurezza, è simile ad un terremoto improvviso o ad una catastrofe annunciata che toglie il terreno da sotto i piedi e lascia, chi resta, in uno stato di precarietà e disorientamento, di confusione e di spavento in cui le emozioni si susseguono e si accavallano prepotentemente togliendo spazio alla lucidità.
Ciò che maggiormente destabilizza è il senso di impotenza o forse l’impotenza vera e propria che ci toglie la possibilità di fare qualcosa, qualsiasi cosa per cambiare i fatti che stiamo vivendo o probabilmente subendo.


In determinate circostanze tragiche dimentichiamo che non sempre “le cose” si possono cambiare e che ciò che resta da fare è accettare.
Ma quanto è difficile accettare la morte di qualcuno a causa di qualcosa su cui non possiamo agire?
Quanto è difficile accettare, specialmente quando si è privati di quel tempo necessario per salutarsi?
E’ sempre difficile separarsi da una persona cara che si spegne, per questo vengono messi in atto riti che ne facilitano il commiato. Il Covid-19 e le relative restrizioni precauzionali hanno impedito lo svolgimento di questo momento così importante per chi resta.


Infatti, in questo periodo in cui viviamo, sotto molti aspetti, la limitatezza di tanti nostri diritti, tutti sacrificati in ordine ad un bene comune maggiore, siamo portati a domandarci se anche la morte è divenuta un diritto sacrificato cosi come la vicinanza ed il conforto da offrire a chi subisce la perdita di un proprio caro.
Atroce è morire senza vicinanza, atroce il lutto senza contatto, eppure siamo sottoposti proprio a questo. I riti funebri, sia civili che religiosi, sono stati soppressi dal decreto ministeriale dell’8 marzo u.s. e con esso sembra che sia iniziato un periodo buio per tutti coloro che vivono il lutto per la scomparsa di un loro congiunto.


È terribile doversi recare al cimitero alla presenza di pochissimi familiari, non più di tre-quattro, per rendere l’estremo omaggio ad un caro. Sembra che questo periodo ci abbia privato di tutto, del contatto di un familiare che ci è vicino, di un amico che ci incoraggia e persino di un conoscente che porta un fiore o un lumino per mantenere vivo il ricordo del nostro congiunto che è venuto a mancare.

Nella gestione del lutto è molto di aiuto la presenza dell’altro che ci sostiene ed il rito funebre.
Queste due cose ci aiutano a scoprire la dimensione sociale dell’esperienza della morte, che non coinvolge solo i cari più prossimi al defunto ma anche tutto il cerchio sociale delle interazioni relazionali.
I riti funebri danno tanto, non solo per il valore religioso che garantiscono se celebrati in chiesa, ma anche e soprattutto perché ci aiutano a metabolizzare attraverso i diversi momenti ciò che è accaduto, la mancanza di chi ci ha lasciato, cosa resta del nostro caro e tante altre domande che sembrano in questi momenti senza risposta.

Il rito funebre nella sua valenza psicologica, sociale e religiosa in questo periodo non è permesso così che chi subisce la perdita è privato anche di quelle fasi del sostegno così importanti per “sopravvivere” al dolore.
Quindi, come andare incontro a questo bisogno? Come aiutare le persone che perdono un proprio congiunto in questo momento storico cosi particolare? Quali consigli e aiuto possiamo offrire?

Per capire meglio come superare e aiutare altri ad affrontare questa difficile esperienza è opportuno domandarci, cosa sia il lutto e come esso si compone.

Il lutto, lo abbiamo detto poco prima, è una delle esperienze destinate a segnare, più delle altre, la storia personale di chi subisce la perdita, è fatto da fasi che si susseguono:

  1. La disperazione, caratterizzata da stordimento e protesta. Vi può essere l’immediato rifiuto dell’accaduto e sono comuni crisi di rabbia e di dolore. La fase può durare da alcuni momenti a giorni e può interessare periodicamente la persona afflitta, per tutta la durata del processo di lutto.
  2. L’intenso desiderio e la ricerca della persona scomparsa, caratterizzata da irrequietezza fisica e da preoccupazione eccessiva verso il caro estinto. La fase può durare alcuni mesi.
  3. La disorganizzazione e la disperazione, fasi in cui la realtà inizia ad essere accettata. Prevale tuttavia la sensazione che la vita non sia reale e la persona afflitta sembra essere chiusa in se stessa, apatica e indifferente. La persona addolorata ricorda costantemente lo scomparso; insorge un inevitabile senso di delusione quando la persona che ha subito la scomparsa di un caro riconosce che i ricordi sono solo ricordi.
  4. La riorganizzazione, durante la quale gli aspetti acuti del dolore cominciano a ridursi e la persona afflitta comincia ad avvertire un ritorno alla vita. La persona perduta viene ora ricordata con un senso di gioia, ma anche di tristezza, e la sua immagine viene interiorizzata.
    Come ogni processo fatto da fasi la cosa migliore da fare è seguirle, senza osteggiarle, seppure si tratti di restare dentro quel dolore lancinante che si prova, senza scappare, per poi giungere gradatamente alla successiva accettazione e ripresa.
    È senza dubbio una strada in salita, una salita particolarmente dura e faticosa perché, come abbiamo visto, in questo momento più che in altri, è priva di sostegni lungo la strada.
    Tuttavia, se percorsa con tenacia porta alla meta che è rappresentata dalla nuova ristrutturazione di sé e dell’immagine in sé del caro estinto.
    Nelle prime fasi, le più difficili, quando il dolore è pungente e tutto sembra perdere il senso è molto importante, a mio avviso, darsi il permesso di piangere, senza vergogna e senza paura.
    Piangere è molto importante, non è da deboli, anzi è un grande atto di coraggio.
    Attraverso le lacrime si sciolgono i nodi che vincolano le emozioni e ci si riappropria gradualmente del contatto con la propria interiorità. Nel momento del dolore e del pianto spesso si ricevono incitamenti ad essere forti, a non piangere più, ma non c’è niente di più sbagliato.
    Ciascuno ha i propri tempi ed ogni dolore la sua dignità.
    Tempi e dignità vanno accolti e la sofferenza va compresa come anche la necessità e l’importanza di versare lacrime per “lavare” e “levare” un dolore che altrimenti corroderebbe il cuore, raffredderebbe lo spirito e danneggerebbe gravemente l’equilibrio.
    Inoltre, seppure virtuale, resta fondamentale il contatto umano e la condivisione, specialmente tra chi vive lo stesso dolore.
    Condividere attraverso la verbalizzazione di vissuti e di emozioni aiuta a dividere in carico che assolutamente non si deve portare da soli, l’altro resta sempre ed in questi casi ancora di più un punto di appoggio e partenza per continuare il nostro cammino.
    Particolarmente significativa ed emblematica, per tutte le persone che in questo periodo hanno perso un caro, è la pericope evangelica della morte di Lazzaro (Gv 11,1-45) con cui concludiamo in nostro articolo.
    In essa ci è offerta l’esperienza di Gesù dinanzi alla morte di un suo amico e la sua reazione innanzi tale evento, fatta di vicinanza, commozione e pianto.
    Il primo gesto compiuto da Gesù nei confronti delle sorelle del defunto è stato quello di accogliere la loro disperazione ed incredulità, infatti oltre a farsi vicino, in prima persona, le incoraggia a non chiudersi nel dolore ma ad avere forza e fede nell’opera di Dio.
    Gesù stesso, di fronte al dolore delle sorelle di Lazzaro ed alla scomparsa dell’amico, si commuove e piange, perché il pianto vissuto come esperienza privata e comunitaria non ci chiude nella solitudine dell’abbandono ma ci rende in grado di compatire (patire-con) l’altro e per l’altro provando i medesimi sentimenti gli uni per gli altri (cfr. Rm 12,15-16).
    Ma Gesù non si ferma solo al pianto compassionevole, continua ad essere presente nella vita della famiglia colpita dal lutto con la sua vicinanza (Cfr. Gv 12,1-11) con questo gesto, ci fa comprendere che le emozioni forti della nostra vita necessitano vicinanza e condivisione, per essere integrate e riorganizzate rettamente.
    Facciamoci portatori, verso tutte le persone che hanno perso un loro congiunto, della nostra vicinanza e condivisione in tutti i modi che ci sono possibili in questo momento.
    Perché solo chi sa soffrire con l’altro sa anche gioire con l’altro.

Fra Nicola Maio, Ordine Frati Minori Cappuccini
Dott.ssa Antonella Petrella, Psicologa-Psicoterapeuta

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