di Pasquale Di Lena
Nell’estate del 2013, nella piazzetta che guarda il monumento ai caduti in guerra di Larino, l’allora Senatore Ruta, fece il grande annuncio “Una grande stalla (12.000 manze) della Granarolo a Larino”. E giù gli applausi per una notizia che aveva il senso di una benedizione. Il giorno dopo l’uscita di un articolo, firmato da Larino viva, con il titolo “No alla stalla di Ruta”, che spiegava le ragioni di un disastro, ambientale e non solo, che avrebbe comportato il furto di territorio tra i più vocati a un’agricoltura di qualità.
Un articolo che ha dato il via a una esemplare battaglia politica, conclusasi con la rinuncia della Granarolo, nonostante l’approvazione del progetto da parte del Cipe e del governo Letta. C’è da credere che l’incalzare delle iniziative, con il No definitivo pronunciato nella sala del consiglio comunale di Termoli, sia stata la ragione prima della rinuncia da parte della cooperativa bolognese. La vittoria di una battaglia politica che è riuscita a evitare un disastro ambientale nel territorio più vocato all’agricoltura, il Basso Molise, e, in particolare, due dei più estesi, quello di Larino, indicato come sede nel progetto, che, dopo la sua approvazione e il suo finanziamento, avrebbe interessato quello di San Martino in Pensilis. La nascita di una grande stalla pari a una superficie di 100 ettari, atta a ospitare, a turno, 12.000 manze.
In sintesi, il trasferimento, nel Basso Molise, dei nitrati che, ai sensi della direttiva 91/676/del Consiglio europeo, avevano superato il limite, nel terreno e nelle falde acquifere della Lombardia e dell’Emilia Romagna (è di questi ultimi giorni la notizia che la Commissione europea ha deciso di portare la Spagna dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea per non aver rispettato le norme fissate proprio sui nitrati). In pratica, la “stalla di Ruta&Co.”, comportava una cementificazione del territorio pari a un milione di metri quadrati; una contaminazione paurosa, con nitrati e antibiotici, delle acque superficiali e sotterranee; un danno enorme per l’ambiente marino attraverso il noto processo di “eutrofissazione”, e, come tale, un duro colpo all’altra attività, fonte di cibo come l’agricoltura e la zootecnia, la pesca; un inquinamento dovuto a immissione di metano nell’aria; uno spreco di acqua pari a tutta quella consumata, in un anno, dalla città di Campobasso.
Tutto questo, in cambio di niente, visto che le 12 mila manze avrebbero vissuto, a Larino o a San Martino in Pensilis, il tempo necessario per crescere, essere ingravidate e dieci giorni prima del parto – dopo aver provocato i disastri sopra elencati – sarebbero tornate in Emilia Romagna e Lombardia per produrre carne e latte, con il Molise “cornuto e mazziato” e a rischio di cancellazione dalla carta geografica. Come prendere per le ali la “farfalla Molise” e vederla subito dopo morire. Di fronte a tutto questo disastro la cosa più penosa, l’entusiasmo dei parlamentari molisani in carica, del Consiglio regionale, dell’Unione delle Camere di Commercio, dell’Associazione degli industriali, e, anche di tanti tecnici, tutti bravi a servire il padrone di turno. Una moltitudine di eletti e nominati che, purtroppo, grazie ai molisani distratti, hanno avuto e continuano ad avere nelle loro mani le sorti di questa terra stupenda, la più attuale – in questo tempo maledetto dal sistema neoliberista – e, grazie alla sua “arretratezza”, la più pronta per disegnare un futuro migliore, del quale se ne sente un forte bisogno.
Il Molise esempio di un nuovo tipo di sviluppo per il Paese, se a programmarlo ci fosse una classe politica e dirigente – diversa da quella che ha applaudito l’arrivo della “grande stalla” -, che, oggi, nonostante il Covid, continua a pensare a come cancellarlo con idee già obsolete vent’anni fa, quali l’aeroporto e l’autostrada in una regione che ancora si deve dotare di un Piano di sviluppo. La bussola per navigare a vista, lo strumento indispensabile che, partendo dalle risorse e dai valori del territorio molisano, dia un domani al Molise. Ai suoi giovani, costretti a scappare altrove, e, anche, ai suoi 130 dei 136 paesi che vivono uno stato d’abbandono prossimo allo spopolamento degli stessi con i loro territori. I luoghi, i soli in grado di sfidare la globalizzazione e di avviare la ripartenza avendo presente un percorso nuovo, alternativo a quello attuale.
C’è di più e di peggio: all’idea di un aeroporto e di un’autostrada è da aggiungere la disponibilità del governo regionale. e non solo, a concedere altra acqua alla Puglia, il “surplus”, non per dissetare i pugliesi, ma per dare continuità e nuove opportunità a un’agricoltura industrializzata – dichiarata fallita dalla Fao e fonte dei mali che soffre il clima ovunque – proprio nel momento in cui c’è da impegnarsi a ridare spazio a un’agricoltura all’insegna della sostenibilità e della qualità, naturale e biologica, quella che, invece di cedere Co2, un veleno per il clima, la capta dandogli un po’ di respiro. L’acqua, il diamante di un tesoro vero qual è il territorio molisano, ha la possibilità di essere salvaguardata e tutelata, se torna in campo la politica e, con essa, il coinvolgimento (responsabilità) della maggioranza dei molisani, soprattutto delle nuove generazioni, che hanno, con questo diamante nelle mani, la possibilità di vedere illuminato il loro domani.
So che ogni giorno, in questa regione, nasce un’associazione che rivendica un futuro per il Molise, tante voci che non daranno mai vita a un coro se non si ha la forza e la voglia di organizzare, tutte insieme, una lotta che – com’è stato fatto per la Stalla di 12mila manze – informando e coinvolgendo i molisani, diventa battaglia politica, e, come tale, premessa di quell’alternativa di cui ha bisogno il Molise per volare e non soccombere, Sì, volare con un’alternativa forte, e, non soccombere, con la sola prospettiva, quella di cadere, a furia di dosi crescenti di sonnifero dell’alternanza, in un sonno profondo e, in poco tempo, mortale.