La concorrenza sleale del sommerso è un fattore di blocco dello sviluppo che spiazza le imprese oneste attraverso diversi meccanismi e nel dettaglio: I) le imprese che evadono possono mantenere prezzi più bassi e mettono fuori mercato le imprese regolari con analoghe funzioni di produzione; II) la minore competitività delle imprese regolari può rendere ‘più conveniente’ attivare azioni di evasione fiscale: nel lungo termine tendono a sopravvivere imprese marginali mentre le imprese solide si avvicinano progressivamente alla marginalità; III) l’evasione a valle genera fondi extra contabili realizzati con i ricavi ‘in nero’ utilizzati per acquisti non documentati che diffonde ed allarga la portata del fenomeno; IV) l’evasione fiscale tende a mantenere il gap tra le aliquote fiscali pagate dalle imprese in regola e le imprese che evadono, dato che il mancato gettito rende difficile politiche fiscali espansive tramite la riduzione delle aliquote fiscali; V) non si amplia la dimensione delle aziende: le imprese che evadono hanno una minore propensione all’investimento e all’ampliamento del volume d’affari e nel contempo spiazzano gli investimenti delle imprese che non evadono e che non trovano redditività adeguata per l’ampliamento delle dimensioni aziendali.
Sulla base degli ultimi dati disponibili sui conti nazionali, nel 2014 sono 3 milioni e 667 mila le unità di lavoro in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti, con 2 milioni e 595 mila unità, a cui si aggiunge 1 milione e 72 mila unità di lavoro indipendente irregolare.
E’ pari al 15,7% il tasso di irregolarità – calcolato come incidenza delle unità di lavoro non regolari – con un trend di salita negli ultimi quattro anni nei quali è salito di 1,2 punti, raggiungendo il massimo degli ultimi dieci anni; il tasso di irregolarità totale è composto dal 16,2% di lavoro dipendente irregolare e dal 14,8% di irregolarità nel lavoro indipendente, equivalente ad 1 milione e 72 mila unità indipendenti irregolari.
In particolare il peso del sommerso è difficile da sostenere per i produttori che hanno una attività nel Mezzogiorno dove la quota di lavoro irregolare – per territorio misurata sugli occupati e non sulle unità di lavoro – è del 19,1% ed è quasi doppia rispetto all’11,2% del Centro-Nord. La quota più elevata di lavoro irregolare in Calabria (23,0%), seguita da Campania (21,5%), Sicilia (20,3%), Puglia 16,8% e Lazio (16,%). All’opposto i tassi più bassi in Lombardia e Marche (10,2%), Trento (10,1%), Emilia-Romagna (10,0%), Valle d’Aosta (9,9%), Bolzano (9,1%) e Veneto (8,8%). Per il Molise l’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese ha calcolato un dato del 15,6% superiore alla media nazionale ma notevolmente inferiore al dato medio del Mezzogiorno che si assesta sul 19,1%.
Per sottolineare la pervasività della concorrenza sleale del sommerso nel Mezzogiorno una recente analisi del Centro Studi di Confartigianato Imprese ha proposto due paradossali confronti. Nel primo paradosso si osserva che, nonostante la rilevante – ed eccessiva – presenza di dipendenti pubblici, nel Mezzogiorno il lavoro sommerso pesa più di quello della Pubblica amministrazione: i 1.257.894 occupati irregolari sono l’11,0% in più dei 1.133.030 dipendenti pubblici.
La vastità della concorrenza sleale nei confronti delle imprese regolari è evidente dal secondo paradosso che emerge da un confronto settoriale. Se prendiamo a riferimento i tassi di irregolarità settoriali si individua un metasettore del Sommerso che somma gli occupati irregolari di tutti i settori: nel dettaglio nel Mezzogiorno il Sommerso è il secondo settore dietro solo a quello dei Servizi, vale quasi due volte (1,8) il Manifatturiero e oltre tre volte e mezzo (3,6) il settore delle Costruzioni.