Riceviamo e pubblichiamo
Bene hanno fatto i quotidiani molisani a dedicare ampio spazio all’interessante dibattito sulla riconversione del modello sanitario del Molise, alla luce delle note restrizioni di risorse. É proprio vero: il confronto di idee e di esperienze è sempre fonte di analisi e di scelte migliori. Un dibattito, quello in atto, che evoca alla memoria dei più anziani un periodo esaltante della sanità molisana, quando le Regioni conquistarono prerogative importanti nella scelta del modello di sanità. È utile ricordare, sia pure in rapida sintesi, avvenimenti essenziali di quel periodo, poiché il passato costituisce sempre il pilastro portante del futuro.
Risponde sicuramente a verità che oggi i contribuenti molisani scontino gli errori commessi a suo tempo – cioè nei primi anni ottanta – in sede di attuazione di quella che fu unanimemente omologata come una riforma epocale della sanità del Paese, in quanto archiviava senza rimpianti il sistema verticistico e piatto del modello mutualistico, per consegnare i servizi socio-sanitari alla nuova cultura della partecipazione democratica e, nei fatti, all’autodeterminazione. Di qui il ruolo essenziale delle Regioni, che avevano ormai superato la fase del “rodaggio”, avendo già amministrato le proprie comunità da un decennio buono. È vero che in Molise, nella fase delicatissima di definizione del nuovo modello di servizio sanitario regionale, quei localismi che allora avevano maggiore potere contrattuale di oggi, si tuffarono su scelte molto discutibili, che hanno poi prodotto effetti deleteri a danno della spesa sanitaria e della stessa qualità della sanità pubblica. Basti ricordare che, all’epoca, fu nominata dalla Regione Molise una Commissione tecnica preposta alla elaborazione dell’impianto legislativo della riforma, coordinata da un autorevole costituzionalista quale il professor D’Onofrio. Ebbene, allorché si affrontò la questione cruciale del numero delle Unità Sanitarie Locali con la relativa rete ospedaliera, il disegno di legge regionale elaborato in sede tecnica si attestò su due Asl, una a Campobasso ed una a Isernia. In sede di successiva approvazione da parte del Consiglio Regionale, le due Unità Sanitarie Locali divennero sette e nel dibattito finale furono tentati – per fortuna senza esito – persino emendamenti che ne aggiungevano l’ottava a Cercemaggiore, con una ulteriore struttura ospedaliera nella zona. In quella caldissima notte estiva del 1981 il Consiglio Regionale dimostrò di aver capito poco della riforma sanitaria dettata dalla legge 833 del 1978, approvando una ingiustificata proliferazione di centri di potere e, con essi, la deflagrazione della spesa pubblica. Un provvedimento assurdo che sanciva, di fatto, la compromissione di una efficiente rete di Distretti Sanitari: una rete di presìdi di base del tutto innovativi, con compiti di prevenzione, di soccorso e di pronto intervento, da realizzare con l’apporto organizzativo e funzionale dei Comuni ed in grado di esercitare anche il ruolo significativo di filtro al ricovero ospedaliero improprio, ancora oggi corresponsabile delle difficoltà della spesa sanitaria ed ostacolo alla tempestività ed efficacia delle attività ospedaliere.
Tornando ai problemi di oggi, non ci sono dubbi che il Molise stia sopportando grossi sacrifici per una razionalizzazione coerente della spesa sanitaria. Sono proprio tali sacrifici a consigliare il tempestivo allineamento alle conquiste positive delle Regioni del Nord, dove già da decenni è stata realizzata la omologazione e la totale integrazione della sanità privata alle risorse strutturali della sanità pubblica, in una logica unitaria ed organica della tutela della salute. La recente notizia che il Molise è l’unica regione del Centro-Sud che ha fatto registrare un saldo attivo della mobilità sanitaria regionale di ben ventuno milioni di euro, costituisce un evento importante, una conquista che dovrebbe suggerire alla pubblicistica da sacrestia, pure presente al dibattito di questi giorni, un maggiore discernimento nel pontificare in esternazioni puerili contro la sanità privata e nel fomentare il movimentismo piazzaiolo di vecchia maniera, ispirato solo ad un infantile ostracismo ideologico.
Pur dando per irreversibili i tagli generali della spesa pubblica, bene fa il Presidente Toma a non desistere dalle sue tenaci battaglie in sede Centrale, perché anche alla sanità del Molise vengano estesi i meccanismi premiali e di riequilibrio strutturale già riconosciuti alle regioni virtuose, con il connesso adeguamento delle risorse spettanti. Anche il Molise, infatti, è concretamente impegnato in un difficile processo di graduale de-ospedalizzazione dell’intervento sanitario, previa riconversione delle strutture ospedaliere palesemente esuberanti, in una efficace e moderna rete di presìdi di base e di pronto intervento. Dobbiamo convincerci tutti che la sanità di un futuro ormai prossimo punterà sempre meno sul ricovero ospedaliero tradizionale e sempre più sulla prevenzione extra ospedaliera e sulla tempestività ed efficacia della rete di emergenza territoriale (condivido in pieno ciò che ha scritto il Dr. Sanese su queste pagine!). È quanto serve ai territori, per esigenze di qualità dei servizi sanitari e per oggettive necessità di corretto utilizzo delle risorse pubbliche.
Il Molise può e deve farcela, con un po’ di coraggio, di pazienza e di idee chiare.
Luigi Petracca
Coordinatore Regionale CONFEDIR