La notizia è stata anticipata dagli esponenti locali del Movimento Cinque Stelle: nel cosiddetto ‘decreto per Genova’ è di fatto sancita l’incompatibilità tra la carica di commissario ‘ad acta’ per la sanità e quella di presidente della Giunta regionale.
Il passaggio è contenuto al capo V, art.45, comma 2 lettera b (Disposizioni urgenti in materia di commissariamenti delle regioni in piano di rientro) che cita testualmente: “Il commissario ad acta deve possedere qualificata e comprovata professionalità, nonché specifica esperienza di gestione sanitaria ovvero aver ricoperto incarichi di amministrazione o direzione di strutture, pubbliche o private, aventi attinenza con quelle sanitarie, ovvero di particolare complessità, anche sotto il profilo della prevenzione e della tutela della legalità”. Continuando al comma 3: “le disposizioni… si applicano anche agli incarichi commissariali in corso, a qualunque titolo, alla data di entrata in vigore del presente decreto….alla nomina di un commissario ad acta per ogni regione in cui si sia determinata l’incompatibilità del commissario, il quale resta comunque in carica fino alla nomina del nuovo commissario”.
Il testo è stato ‘bollinato’ dalla Ragioneria dello Stato ed è alla firma del Presidente della Repubblica per la verifica della costituzionalità; sarà operativo dal giorno seguente alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e dovrà essere convertito in legge dalle Camere. La discussione generale alla Camera è prevista per il 22 ottobre. Dalla lettura si evince che Donato Toma, salvo stravolgimenti dell’ultima ora, è in ogni caso fuori dalla possibilità di nomina a commissario ad acta per il piano di rientro sanitario; si aprono adesso alcuni scenari, fermo restando che l’urgenza di una soluzione è prevalente alle conseguenze, anche politiche, di quanto stabilito nel decreto.
La nomina di un commissario esterno riproporrà inevitabilmente lo ‘scontro’ tra la politica, che vuole programmare in base ad esigenze del territorio o proprie ed il tecnico, che imporrà criteri nazionali. Nello specifico: cosa succederà agli ospedali a rischio di chiusura? Come si regoleranno i concorsi ed assunzioni? Senza malizia, c’è da dire che probabilmente niente sarà come prima, perché, a differenza del passato, mancherà la copertura politica tra il livello nazionale e quello regionale. Entro ancora più nello specifico: il raccordo tra Regione e Stato è dato dalla deputazione parlamentare che, fatta eccezione per Annaelsa Tartaglione e Giuseppina Occhionero, è rappresentata in toto dai ‘pentastellati’ che sono non solo di colore politico differente rispetto alla maggioranza a palazzo Vitale, ma anche con idee chiare e decisamente contrapposte su molti temi sanitari. Allora che peso avranno sul livello nazionale le rimostranze, che inevitabilmente seguiranno agli ‘scontri’ tra politica locale e commissario ‘ad acta’ sulla programmazione delle operazioni del Piano di rientro? Per i ‘regionali’ il dialogo con il governo non sarà dei più semplici; e, vista la rigidità comportamentale che la maggioranza parlamentare ha adottato finora, c’è da pensare che il potere di gestione da parte della Regione delle problematiche sanitarie sarà decisamente limitato.
Ai più sembrerà solo fantapolitica, ma chi conosce i meccanismi che regolano la ‘res publica’ non si meraviglierà di ciò. Spero di sbagliarmi, ma temo di essere piuttosto vicino alla realtà.
Stefano Manocchio