di Stefano Manocchio
E’ l’argomento politico del momento, unitamente all’assenza di numero legale ad una recente riunione di Consiglio regionale e a questo non casualmente collegato come prefazione per le manovre in vista delle elezioni del prossimo anno. Ci riferiamo a quello che è stato definito ‘blitz’, nelle dichiarazioni più ‘morbide’, compiuto repentinamente dalla maggioranza a Palazzo Moffa con l’appoggio di Aida Romagnuolo, per far passare un emendamento al collegato alla Finanziaria, che alza la soglia di sbarramento elettorale dal 3 al 5 per cento sia in coalizione che in caso di candidatura singola per qualunque partito e di fatto penalizza liste civiche e partiti minori. Lo scarno testo che ha portato alla votazione, un paio di righe o giù di lì, non permette un’analisi completa sulle motivazioni formali, atteso che quelle sostanziali sembrano essere invece piuttosto chiare. Ripetiamo brevemente i fatti.
Sul tema è muro contro muro tra maggioranza ed opposizioni in Consiglio regionale. L’atto va letto ed interpretato nelle sue caratteristiche prima di esprimere un giudizio di merito, anche se certamente non facilita il dialogo tra le opposte fazioni a Palazzo Moffa e va piuttosto verso una logica di contrapposizione.
Le prime reazioni sono state delle opposizioni nell’emiciclo regionale; è singolare il fatto che le vibrate proteste siano venute da due partiti, il Movimento Cinque Stelle ed il PD, che non subiranno danno diretto dal provvedimento, viaggiando (dati 2018) su percentuali di assoluta sicurezza; ma ciò è dovuto essenzialmente al fatto che i partiti minori d’opposizione non hanno rappresentanza nell’assise civica e quindi quelli presenti diano voce anche ai secondi. Ma non solo: vedremo come differenti potrebbero essere i comportamenti nelle due colilzioni.
Che succederà? I consiglieri regionali Facciolla e Fanelli del PD lo spiegano in una nota.
“Con lo sbarramento al 5%, infatti- si legge nel documento- si avvantaggiano i partiti e le coalizioni più grandi, con buona pace del pluralismo democratico della società molisana, dei diritti di rappresentanza, della possibilità di tutti, soprattutto dei piccoli partiti e movimenti, di poter accedere ai seggi del Consiglio regionale”. Al netto della valutazione politica, che come detto da parte del PD è fortemente negativa, ci sarà una limitazione della rappresentanza partitica in Consiglio regionale.
Anche i Cinque Stelle hanno detto la loro e non sono mancate le prese di posizione, mentre dal fronte della maggioranza c’è stato un generale silenzio sul tema.
Detto questo, è indubbio che penalizzati saranno i piccoli partiti di centro, ma soprattutto i ‘cespugli’ del centro sinistra, che della frammentazione partitica hanno fatto quasi una bandiera, vedendola come necessaria nell’ottica della massima espressione democratica del voto. Ma il temuto ‘terremoto elettorale’ non ci sarà e spieghiamo perché, utilizzando i dati delle regionali del 2018. Orbene già con lo sbarramento al 3% di fatto molti partiti non hanno prodotto risultato e con l’innalzamento dovranno ‘obtorto collo’ aggregarsi ancora di più e meglio oppure, vista la riluttanza a farlo, rassegnarsi alla perdita di rappresentanza che peraltro anche con la soglia al 3%, come testimoniano i fatti, non era stata garantita di diritto. Alla fine, sempre ragionando con i dati delle regionali 2018, a sinistra sarebbe fuori ‘ab origine’ solo LeU rispetto alle ultime regionali, visto che gli altri partiti minori della sinistra già adesso sono sotto la soglia di rappresentanza, anche teorica, nel palazzo di Via IV Novembre.
Sembrerebbe invece più grave la situazione nel centro destra, dove con il nuovo sbarramento, rischierebbe perfino l’UDC (ultime regionali: 5,11%), mentre la lista Iorio (3,58%, ma l’ex-presidente ha cambiato casacca) finirebbe dritta nel calderone degli esclusi. Con quei dati sarebbe a rischio teoricamente anche Fratelli d’Italia (che nel 2018 si fermò a 4,45%); ma non dovrebbe essere così visto che quel partito si è rimpolpato nella rappresentanza elettorale in maniera consistente e sia a livello nazionale che, si presume, locale ha avuto un incremento deciso. Sempre secondo quei numeri sarebbe tranquillo l’assessore regionale Niro, che nel 2018 con la sua lista arrivò oltre il 7%. Ma sono passati quattro anni e di certezze non ce ne sono più.
Allora perché a protestare non sono i partiti minori del centro destra? Semplicemente perché la situazione politica non è più quella e i moderati da un lato si sentono più forti, avendo governato per una legislatura e dall’altro nel dubbio cercano rimedi (leggi ipotesi di accordo tra Niro e Micone). Il dialogo tra i partiti piccoli della sinistra è più difficile e questi probabilmente non rinunceranno alla propria espressione simbolica in forma autonoma. ‘Fare di necessità virtù’ da quelle parti non è un dictat assoluto. Vedremo se i ‘grandi’ riusciranno a convincerli.
In ultima analisi una considerazione, che qualcuno probabilmente considererà ‘ragionieristica’, ma che è anche politica. Uno sbarramento maggiorato significa anche meno segreterie, meno sedi partitiche, minori costi telefonici, elettrici e di cancelleria; insomma un limite alla frammentazione delle sigle che si traduce in risparmio dei costi dell’apparato pubblico. C’è un dato politico: aumentare il quorum elettorale vuol dire certamente limitare il campo a favore di candidati di peso, come è stato già evidenziato e se questo può generare il rischio di esclusione per personalità casomai meritevoli ma ‘deboli’, dall’altro lato permetterà candidature che siano espressione di molteplici mondi e settori della società civile. Insomma tutto si supera in una logica di condivisione e non di divisione. Fare tutti un passo indietro, rinunciare a vedere ‘solo’ il proprio simbolo sulla scheda elettorale e ‘fare la pace’ con chi ha scelto altri percorsi.
In chiusura da un lato c’è la perdita di rappresentanza democratica, dall’altro maggiore stabilità politica e riduzione dei costi. La scelta tra le due opzioni è soggettiva ma in definitiva non tutto il male vien per nuocere.